Nei confronti di una trattazione scientifica dei videogame c’è tuttora qualche scetticismo. I pregiudizi, più volte denunciati, ancora hanno qualche sussistenza: persiste qualche analisi sociale che considera i videogame oggetti diabolici che provocano isolamento e comportamenti violenti nei teenager. Pur constatando una progressiva inversione di tendenza, Video game education. Studi e percorsi di formazione, curato da Damiano Felini, si propone di sgretolare la concezione che la società contemporanea ha dei videogame, dimostrando come questi oggetti mediali possono addirittura divenire uno strumento di formazione e crescita delle persone.
La pubblicazione è strutturalmente suddivisa in due parti: la prima, “Studi”, inquadra i videogame sotto diversi aspetti teorici legati tra loro dalla funzione pedagogica che tali oggetti incorporerebbero; la seconda, “Esperienze”, propone attività pratiche già attuate oppure nuovi percorsi possibili nel campo della videogame education. Nei primi capitoli, i diversi autori dei saggi proposti cercano di definire i motivi principali per cui si dovrebbe utilizzare il videogame come strumento di educazione: stimolare le capacità e abilità dei ragazzi; favorirne creatività e immaginazione; misurarsi con situazioni che, in seguito, ritroverebbero nel mondo reale; prendere decisioni; conoscere i valori che stanno alla base della società – siano essi positivi o negativi – ma anche favorire la socializzazione dei ragazzi. Sarebbe proprio lo stare al di fuori dei dibattiti che si creano attorno a questi nuovi oggetti che favorirebbe l’isolamento sociale.
Un pregiudizio comune che merita di essere sfatato è quello che riguarda la violenza: i videogiochi che ne fanno uso come strumento testuale rispondono a logiche di mercato: vengono prodotti perché agli utenti piacciono. Bisognerebbe interrogarsi sul perché giochi del genere hanno così successo fra gli utenti. Il punto, però, è un altro. La violenza può anche divenire oggetto di un videogioco (come lo è stata e lo è tuttora per il cinema) che può essere fruito da un utente, ma quest’ultimo dovrebbe acquisire consapevolezza che il videogame è un prodotto che genera un mondo fittizio, così come lo è la violenza rappresentata.
Damiano Felini propone una vera e propria griglia valutativa dei videogame, necessaria per farli comprendere agli utenti che li utilizzano. La necessità di comprensione deriva dal fatto che la gran parte dei fruitori utilizza i videogiochi in modalità passiva e non attiva come sembrerebbe: utilizzare un oggetto senza coglierne le dinamiche sottintese significa divenirne “schiavi”. Se lo si comprende, invece, lo si può padroneggiare e piegare alla propria volontà. La dipendenza nei confronti dei videogiochi che si crea negli adolescenti deriva proprio dal fatto che essi non conoscano i processi che sono alla base di un videogame, e che essi considerino i giochi digitali come dei semplici giocattoli, dotati di esclusiva funzione ludica. Da ciò deriva la necessità di educare ai videogame facendone cogliere la struttura narrativa; la meccanica di gioco; la dimensione spazio-temporale; l’interazione utente-interfaccia; gli aspetti tecnologici e il processo produttivo. Come si può ben capire, si tratta di oggetti mediali complessi formati dall’interazione di diversi linguaggi e media comunicativi.
Ma prima di educare i ragazzi bisogna educare gli adulti: perché essi considerano negativamente il videogioco? I videogiochi non sono poi così diversi dai giocattoli tradizionali, il fattore problemtico è che sono entrati a far parte della vita degli adolescenti soltanto da qualche decennio. Un ‘esigenza che l’autore sottolinea è quella della vigilanza genitoriale sulle attività videoludiche dei propri figli: Felini individua molte falle nei sistemi di rating: non è l’indicazione del PEGI o dell’ESRB a bloccare un ragazzo nell’accedere a un videogioco controverso.
Nel complesso, Video game education. Studi e percorsi di formazione appare come un’interessante e utilissima pubblicazione: è agevole da leggere grazie ad una scrittura chiara e lineare e si rivolge non solo ad esperti del settore, ma anche a chi di videogame ne sa poco. Grazie alle numerose esperienze di laboratori effettuati sia tra i genitori che tra gli studenti universitari– proponendo la realizzazione di un videogame originale per far capire il processo di creazione e produzione che sta alla base come “pretesto” per discutere sull’oggetto mediale – che sono riportate nel testo, il libro diventa uno strumento indispensabile e un punto di partenza per chiunque intenda promuovere nuove esperienze di videogame education.
Resta, tuttavia, da capire come riuscire a inserire realmente i videogame nei percorsi educativi e didattici dei ragazzi, ad esempio nella realtà scolastica italiana, legata a modalità d’insegnamento fin troppo tradizionali, poco inclini ai new media. L’immagine ha ormai da molto tempo preso il sopravvento sulla parola, ma la scuola italiana non se n’è ancora accorta: è forse è necessario un ricambio generazionale, nella speranza che questo auspicio si compia rendendo il testo di Felini uno strumento utile per questo nuovo corso.
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