In questo diciottesimo volume della floridissima collana “Ludologica. Videogames d’autore”, curata da Matteo Bittanti e Gianni Canova per l’editore Unicopli, Compagno propone un’analisi semiotica di Assassin’s Creed 2 gestendo con grande maestria la complessità del metodo scelto. S/Z di Roland Barthes, richiamato anche nella storipiatura del nome del protagonista del gioco – Desmond – nel titolo del libro, non è infatti il più semplice punto di partenza per un analisi che si propone di rendere conto di come funziona il blockbuster di Ubisoft e di individuare “le ragioni per cui ha il senso che ha e non un altro”. Tuttavia utilizzare il metodo di Barthes permette all’autore da un lato di considerare a priori il gioco come a tutti gli effetti un linguaggio e di conseguenza di analizzarlo come tale; dall’altro di ragionare sul videogioco come un medium con numerosi tratti comuni ad altri media, un oggetto insomma studiabile con gli strumenti teorici affinati in altri campi. L’autore del resto, semiologo di professione, non si pone il dubbio sulla leggibilità del videogioco come testo semiotico, prendendo una scelta metodologica chiara e decisa fin dalle prime pagine.
Compagno si propone quindi di rallentare il testo, suddividendolo in lessie (ne elencherà la bellezza di duecento), e di analizzarne con cura ogni passaggio, con particolare attenzione alla struttura narrativa. Nel metodo barthesiano infatti il testo va osservato a fondo in modo da poterne estrapolare ogni possibile significato, tenendo ben presente che l’esempio di massimo interesse è il cosidetto “testo illeggibile” e di conseguenza dotato di un potenziale infinito di senso. I riferimenti trasversali a livello culturale individuati dall’autore sono numerosi e ben argomentati, dalla cultura classica a quella strettamente videoludica, ma è nel capitolo conclusivo che la lettura principale del testo emerge: Assassin’s Creed 2 sarebbe, con buona pace dei game designer di Ubisoft, la perfetta metafora di una seduta psicanalitica, con il lettino dell Animus a fare da supporto e il viaggio nei ricordi dei propri antenati a rappresentare la ricerca nel proprio passato di momenti significativi che si riverberano nel presente. Un viaggio nell’inconscio che porta Desmond a riconoscere e rielaborare il conflitto con i propri genitori e con le figure che ne fanno le veci, scoprendo al contempo la missione che gli è dettata dal diritto di nascita.
Se si vuole trovare un limite all’analisi di Compagno, si potrebbe dire che essa sembra eccessivamente ancorata all’aspetto narrativo del gioco, lasciando ogni considerazione sulle specifiche qualità ludiche del testo a osservazioni estemporanee. Una, la più interessante forse, richiama la presa di posizione semiotica e narratologica dell’autore accennata in apertura: egli distingue due tipologie di interattività, push e pull, con la prima a caratterizzare un gameplay, il cui estremo è il free roaming, in cui è il giocatore a prendere delle decisioni sui percorsi da affrontare e la seconda a descrivere invece un gameplay pre-scriptato, in cui il giocatore semplicemente viaggia sui binari della sceneggiatura del gioco. I videogiochi migliori secondo Compagno sono quelli che riescono a equilibrare queste due fasi senza lasciare il giocatore in balia di sé stesso, privo di un’idea su come continuare, e senza costringerlo all’interno di vincoli troppo rigidi e invalicabili, rendendo l’esperienza di gioco noiosa. Chi sostiene invece una posizione rigidamente ghettizzante per il medium insiste invece sulla sua vocazione esclusivamente pull accettandone inflitrazioni push solo nella forma assoluta del sandbox. Condivisibili o meno, queste posizioni rimandano a un dibatto fra ludologia e narratologia da tempo sopito, ma mai veramente risolto. Dezmond è, per concludere, un testo ben scritto, in grado di far convivere due nature all’apparenza profondamente contraddittorie: da un lato è una lettura specialistica per semiologi; dall’altro è rivolto anche e sopratutto ai profani, grazie a una struttura profondamente modulare e ordinata che isola il linguaggio specifico senza intaccare la scorrevolezza e la solidità di un’interpretazione di Assassin’s Creed 2 a tratti illuminante.
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