Gemma Fantacci (Università IULM)
Abstract
Il panorama mediale attuale è ricco di contaminazioni tra la cultura videoludica e le pratiche artistiche contemporanee. In questo contesto, il videogioco si presenta come un medium versatile con cui intraprendere un processo di sovversione e ri-funzionalizzazione delle norme ludico-culturali per creare spazi di riflessione politica e sociale. Ne scaturisce un complesso milieu culturale che si pone all’intersezione tra game studies e arte contemporanea, da cui emergono una serie di problematiche legate al concetto di sovversione videoludica, un ampio dibattito che indaga le modalità alternative di utilizzo del mezzo. Lo scopo di questo saggio è quello di stabilire un ponte tra game studies e critica d’arte contemporanea per evidenziare affinità e divergenze tra le diverse sfere della produzione culturale e suggerire un primo approccio all’analisi di interventi la cui matrice formale e politica risiede nelle pratiche videoludiche e nell’agenda operativa delle avanguardie del Novecento.
Keywords: Countergaming; in-game performance; avanguardie; Internazionale Situazionista.
1. Introduzione: oltre il countergaming
Nel capitolo finale della raccolta di saggi Gaming. Essays on Algorithmic Culture (2006), Alexander Galloway conclude evidenziando come il concetto di countergaming sia ancora un processo incompiuto. Se da un lato numerosi artisti hanno realizzato interventi di tipo visuale, andando ad interagire sull’aspetto estetico del videogioco, Galloway sostiene la necessità di sviluppare nuove “grammatiche dell’azione” (Galloway, 2006) per introdurre una critica concreta al gameplay e portare alla luce il “potenziale di avanguardia politica e culturale del videogioco” (Galloway, 2006). Secondo il pensiero dell’autore, è necessario sviluppare un tipo di avanguardia che non si concentri solamente sul dato visivo, ma che intervenga anche sull’azione di gioco, poiché le attuali pratiche sono “progressiste dal punto di vista visuale, ma reazionarie per quanto riguarda l’azione: non evolvono il gameplay, anzi lo intralciano; oscurano il videogioco inteso come gioco e lo riscrivono come un’animazione primitiva senza game design” (Galloway, 2006). Difatti, per Galloway, il videogioco è un “oggetto culturale algoritmico in grado di rivelare con la partecipazione e l’atto le logiche informatiche della società in cui viviamo” (Arcagni, 2022).
Il saggio di Alexander Galloway è uscito nel 2006 e gli interventi a cui fa riferimento sono mod d’artista che modificano l’aspetto visivo del videogioco senza interagire sul gameplay. Galloway utilizza come esempi numerosi interventi. Fra essi si segnala Adam Killer (1999-2001), una modificazione del videogioco Half-Life (Valve, 1998) dell’artista Brody Condon, in cui si riflette sul concetto di ripetizione e il rapporto tra immagini e contesto di provenienza. Si analizza inoltre Velvet Strike (2002), mod del videogioco Counter-Strike (Valve, 1999) realizzata da Anne-Marie Schleiner, Joan Leandre e Brody Condon, che aggiunge spray di protesta contro la guerra alla funzione graffiti già presente nel gioco, per creare un chiasmo visivo con il contesto bellico del videogioco. Infine l’autore si sofferma su Super Mario Clouds (2002), opera video realizzata dall’artista Cory Arcangel che ha modificato una vecchia cartuccia del videogioco Super Mario Bros (Nintendo, 1983), cancellandone le caratteristiche distintive all’infuori dell’iconico cielo azzurro e le nuvole.
A sedici anni dall’uscita del saggio, il panorama mediale contemporaneo si è notevolmente arricchito di svariati tipi di interventi artistici di matrice videoludica, sia nell’ambito della produzione di machinima,1 che nelle operazioni di fotografia in-game, che nascono da una costante contaminazione tra videogiochi e pratiche artistiche contemporanee. In questi contesti, il videogioco si è rivelato il mezzo adatto alla creazione di esperienze critico-visuali che mettono in discussione aspetti della cultura videoludica, oppure istanze inerenti alla società contemporanea, attraverso la lente di gioco. Questo genere di pratiche artistiche assume svariate forme poiché si innesta su molteplici linguaggi, tra cui la performance, il teatro, la fotografia, il cinema, andandone a complicare le modalità di analisi in virtù della doppia matrice che informa tali operazioni: da un lato quella videoludica, dall’altro quella artistica, legata nello specifico all’esperienza delle avanguardie artistiche del Novecento. Ne scaturisce un complesso milieu culturale che si pone all’intersezione tra game studies e arte contemporanea, da cui tuttavia emergono anche una serie di problematiche che si legano a concetti come quello di sovversione videoludica, di videogioco come sistema valoriale e ri-funzionalizzazione dello spazio di gioco.
Nell’ambito dei game studies esistono numerosi contributi che analizzano il videogioco in quanto struttura composta da regole e meccaniche (Salen & Zimmerman, 2004), come spazio di relazione in cui le azioni della macchina si combinano con quelle del giocatore/operatore (Galloway, 2006), oppure in qualità di oggetto culturale (Murray, 2017). Altri ancora si soffermano sullo studio degli interventi di modificazione, mod, apportati al videogioco (Schrank, 2014), sui diversi sistemi sociali presenti nei contesti multigiocatore oltre alle forme oppositive e alternative di gioco che si realizzano in questo tipo di contesti (Meades, 2015). Tuttavia, a fronte di una letteratura così estesa, gli studi che analizzano forme ibride di sovversione videoludica attraverso gli interventi delle avanguardie sono ancora esigui. Anne-Marie Schleiner individua nella carica provocatoria di DADA (1916-1924) e dell’Internazionale Situazionista (1957-1972) nei confronti del sistema artistico-culturale del loro tempo già un primo punto di contatto con quegli artisti che utilizzano il videogioco come mezzo di discussione politica e culturale. Con il concetto di ludic mutation (Schleiner, 2017), descrive un tipo di processo secondo il quale il potere del giocatore consiste nella sua capacità di modificare il gameplay, dato che o il videogioco non viene percepito come un ambiente fisso e immutabile, ma come play material, ovvero un insieme di elementi che possono essere modificati e ricombinati nei modi più diversi.
Ancor prima, Mary Flanagan sviluppa il concetto di critical play (2009), definendolo come la capacità di occupare o creare ambienti di gioco o attività che rappresentano una o più problematiche legate alla vita dell’uomo. In questo contesto, l’attenzione si pone sulle dinamiche sociali, politiche e culturali che emergono in determinati contesti di gioco. L’analisi fornita da Flanagan è uno strumento con cui osservare, ad esempio, interventi artistico-culturali all’interno dell’ambiente di gioco, giochi realizzati da artisti, activist games2, ecc…, e propone modalità ulteriori per analizzare fenomeni all’intersezione tra arte e cultura videoludica. Tuttavia, entrambe le indagini esaminano il potenziale critico del videogioco e gli interventi in-game soprattutto in ottica o di game design, riflettendo su progetti sviluppati appositamente con un intento critico, o in relazione alle attività di modding e hacking (Scully-Blacker, 2019). Questo complesso ed eterogeneo quadro di studi sulle modalità alternative di utilizzo del mezzo videoludico analizza e non descrive appieno interventi artistici che circoscrivono spazi di indagine da cui emergono nuove forme di testualità. Tali operazioni adottano le regole e le meccaniche del sistema gioco, quindi del gameplay, e le riutilizzano a proprio vantaggio per innescare una serie di interruzioni funzionali durante lo svolgimento del gioco stesso, che vanno a minare le convenzioni formali e culturali del mezzo videoludico. Gli artisti che mettono in atto queste operazioni adottano una serie di comportamenti non in linea con le aspettative di gioco e, soprattutto nei contesti multigiocatore, si trasformano in elementi di disturbo per gli altri giocatori. Analizzando i videogiochi in quanto playable representations (Murray, 2017), ovvero forme di rappresentazione dinamiche in cui azione e immagine veicolano i concetti dominanti della cultura contemporanea (Murray, 2017), la creazione di queste situazioni ha dunque un obiettivo trasformativo attraverso una continua interruzione delle aspettative e delle norme videoludiche.
1.1 Gameplay vs Performance In-game
L’artista americano Brent Watanabe ha realizzato nel 2020 una performance video dal titolo Animal Crossing: All Mine, in cui documenta l’accumulo compulsivo di oggetti e materiali all’interno del gioco Animal Crossing: New Horizons (Nintendo, 2020) per indagare come le meccaniche agiscano in realtà come forma di propaganda che “normalizza il consumismo come obiettivo principale di vita” (Watanabe, 2020). L’unica mod utilizzata dall’artista è stata impiegata per avere un maggior controllo sulla camera di gioco per introdurre un punto di vista simile all’effetto fish eye, non previsto dalle impostazioni di default. Questa operazione ha il solo scopo di permettere la visualizzazione di una porzione maggiore dell’isola ed è quindi strettamente funzionale alla modalità di ripresa. L’intervento di Watanabe si è dunque focalizzato sull’accumulo della maggior quantità possibile di beni di consumo per poi esporre tutti gli oggetti sulla sua isola, documentando la performance con un machinima. Anziché stare al gioco di Tom Nook — leggi: indebitarsi in modo ciclico per sbloccare ulteriori possibilità di personalizzazione della propria isola — e costruire un paradiso idilliaco, Watanabe ha cercato di puntare l’attenzione sulla matrice capitalista che informa le meccaniche di Animal Crossing: New Horizons, andando contro le aspettative del gioco, ovvero realizzare isole che rispondono a determinati canoni estetici,3 per riflettere sulla normalizzazione del consumismo e la mercificazione delle attività ludiche promossa dal gioco. Come afferma l’artista,
In Animal Crossing: New Horizons, la natura è una risorsa da sfruttare a scopo di lucro. L’oceano è pieno di pesci da esporre o rivendere. Gli insetti esistono allo stesso scopo. Anche gli abitanti del villaggio sono lì per ottenere una valutazione più alta delle stelle dell’isola o per il commercio. Bisogna rompere le rocce e abbattere gli alberi per venderli o trasformarli in prodotti. In questo gioco non ci sono rifiuti o sottoprodotti, ma solo oggetti da collezionare.4
Brent Watanabe agisce entro quelli che sono i confini stabiliti dal gameplay esasperando la ripetitività delle pratiche lavorative sponsorizzate dal titolo di Nintendo per portarne alla luce le logiche capitaliste: dietro alla patina di perfezione che caratterizza gli oggetti da collezione e le isole, si nascondono in realtà bellissime discariche a cielo aperto stracolme di oggetti, privi di un valore d’uso e contraddistinti solamente da un valore estetico. Se consideriamo il gameplay come “interazione strutturata che si verifica quando i giocatori seguono le regole di un gioco e sperimentano il suo sistema attraverso il suo svolgimento” (Salen & Zimmerman, 2004), è possibile analizzare l’operazione di Brent Watanabe come atto di ri-funzionalizzazione del gameplay: quest’ultimo diventa uno strumento di indagine per esaminare le logiche contemporanee alla base del sistema di gioco e, così facendo, Watanabe va contro a quelle che sono le aspettative nella relazione gioco-giocatrice.
Se questo tipo di intervento va contro il sistema gioco, è possibile riscontrare anche un’altra tipologia di performance che oltre a giocare con il gameplay si scontra con quelli che sono i codici di condotta che regolano le relazioni tra giocatori all’interno dei videogiochi multigiocatore. Il collettivo austriaco Total Refusal (Robin Klengel, Leonhard Müllner, Adrian Haim, Susanna Flock) ha realizzato nel 2018 una serie di performance online intitolate Operation Jane Walk all’interno del videogioco sparatutto Tom Clancy’s: The Division (Massive Entertainment, 2015), sotto forma di tour pacifisti che si riappropriano dello spazio di guerra digitale della Manhattan distopica rappresentata nel gioco. Come afferma il collettivo,5
Nel rispetto delle regole del software del gioco, l’ambiente militare viene riutilizzato per un tour pacifista della città. I flâneur urbani evitano i combattimenti ogni volta che è possibile e diventano pacifici turisti di un mondo digitale, che è una replica dettagliata di Midtown Manhattan. Mentre si cammina nella città post-apocalittica, si discutono temi come la storia dell’architettura e l’urbanistica.
Total Refusal non introduce alcun tipo di mod, né interviene per cambiare quelle che sono le regole del gioco. Il suo intervento sfrutta le possibilità offerte dal gameplay per creare uno spazio di riflessione critica sui simboli architettonici del potere economico, politico e culturale degli Stati Uniti, cercando di evitare lo scontro armato con gli altri giocatori, intenti invece a seguire gli obiettivi di gioco. Si crea così un interessante chiasmo che pone il collettivo in una situazione ibrida: i membri sono allo stesso tempo giocatori, poiché l’esplorazione dell’ambiente fa parte delle azioni previste dal gameplay, ma il loro comportamento li rende più simili a quello che Bernard Suits chiama trifler (Suits, 1978), ovvero “un quasi-giocatore che si attiene alle regole del gioco, ma le cui mosse, pur essendo tutte legali, non sono finalizzate a conseguire lo scacco matto”, dunque non sono indirizzate verso alcun obiettivo. Dal punto di vista del gioco come sistema sociale, le azioni del collettivo si avvicinano anche a quelle del cosiddetto spoilsport (Suits, 1978), che non riconosce né le regole né gli obiettivi di gioco, andando a minare così la qualità dell’esperienza ludica di coloro che lo incontrano. I giocatori che si imbattono nei Total Refusal sono completamente ignari della performance artistica e, in più occasioni, il collettivo e alcuni degli accompagnatori, che hanno preso parte alle diverse iterazioni degli interventi, sono stati messi sotto assedio dagli altri giocatori. Animal Crossing: All Mine e Operation Jane Walk sono due tipologie di interventi molto complessi ed entrambi condividono delle similitudini con le pratiche di decondizionamento culturale sviluppate dall’Internazionale Situazionista (da qui in poi IS), soprattutto con i concetti di situazione e détournement. La situazione agisce su due fronti, uno esterno e uno interno: il primo prevede il riutilizzo di elementi preesistenti, oggetti ed immagini strettamente connessi alla società borghese, sottrarli alla loro ordinaria destinazione d’uso e porli in un contesto qualitativamente diverso, in ottica rivoluzionaria; il secondo, sfrutta il caso come strumento per lasciarsi trascinare da accadimenti accidentali. Da questo complesso sistema nascono una serie di interventi, tra cui il détournement e la deriva, definiti rispettivamente come un rovesciamento dei significati, una “azione che scompiglia e travolge ogni ordine esistente” (Perniola, 2013) e una “tecnica del passaggio veloce attraverso svariati ambienti”, “l’affermazione di un comportamento ludico-costruttivo, ciò che da tutti i punti di vista lo oppone alle nozioni classiche di viaggio e di passeggiata” (Debord, 2017 [1967]). Le attività dell’IS avevano come obiettivo la creazione di spazi di riappropriazione politica e culturale per minare la società gerarchica e le sue convenzioni, nonché la sovversione di pratiche istituzionalizzate, difatti i suoi interventi avevano un duplice scopo: giocare con le caratteristiche formali dei media utilizzati e successivamente ribaltare, deviare, dirottare contenuti familiari minandone i significati originari, posizionandoli in un nuovo contesto (Penner, 2015).
Su questo impianto di matrice artistica si innestano alcune delle caratteristiche proprie della cultura videoludica. Operation Jane Walk condivide anche alcune similarità con i cosiddetti let’s play,7 ma anziché commentare il gioco stesso, il collettivo si lancia in disquisizioni sullo sviluppo urbano della New York digitale e il significato simbolico di alcuni edifici, come ad esempio la Trump Tower. Nelle occasioni in cui la performance è stata riproposta in presenza del pubblico, gli artisti si sono disposti sopra un palco con quattro postazioni dotate di un computer ciascuna, come a simulare l’assetto tipico degli eventi Esports, ma eliminando l’aspetto competitivo dentro e fuori dal gioco.
Esaminare questa tipologia ibrida di interventi, specialmente quando sono realizzati nei contesti multigiocatore in cui all’analisi del rapporto tra artista e videogioco si unisce anche quella con gli altri giocatori, significa inserirsi in un ampio dibattito che indaga le forme di gioco oppositive (Meades, 2015) e le modalità alternative di utilizzo del mezzo videoludico. All’interno di questo esteso insieme di studi vi rientrano concetti come quello di emergent gameplay (Juul, 2002), di transgressive play (Aarseth, 2007), di countergaming (Galloway, 2006), che esaminano le forme di violazione delle regole di gioco, le alterazioni del codice, oppure comportamenti che violano i codici sociali condivisi nei contesti multigiocatore. Tuttavia, tali framework si rivelano meno efficaci nel fornire un quadro di analisi che aiuti a contestualizzare interventi che utilizzano il videogioco come strumento di creazione di esperienze critico-visuali per mettere in discussione aspetti della cultura videoludica oppure istanze inerenti alla società contemporanea, anziché produrre modalità alternative di gioco. Difatti, questo è un aspetto fondamentale. Le due tipologie di interventi precedentemente analizzati, seppur diversi nei rispettivi contesti di attuazione — un videogioco single player per quanto riguarda Animal Crossing: All Mine e un multiplayer online nel caso di Operation Jane Walk — non hanno lo scopo di sviluppare nuove variazioni rispetto agli obiettivi standard del gioco, né hanno come obiettivo sviluppo di nuove strategie. Entrambi si appropriano del mezzo videoludico lasciando invariato il gameplay per sfruttare le sue stesse caratteristiche in quanto il videogioco si pone come una pratica di produzione di significato (Murray, 2017), ovvero un “sistema che tende a sostenere i valori della cultura dominante, creando campi di possibilità circoscritti da particolari sistemi di riferimento e visioni del mondo” (Murray, 2017).
In questo complesso panorama caratterizzato da interventi che utilizzano il videogioco e il gameplay come spazio di negoziazione e ri-funzionalizzazione per finalità politico-critiche, si vuole sottolineare la necessità di rivedere e aggiornare le modalità di studio di quelle ibridazioni performative a cavallo tra countergaming e performance artistica come forma di resistenza. E si vuole soprattutto formulare nuovi quadri concettuali attraverso cui esaminare gli interventi di sovversione videoludica alla luce dell’esperienza delle avanguardie artistiche, le cui pratiche vengono continuamente aggiornate e riadattate ai linguaggi contemporanei. Il presente saggio ambisce, dunque, a stabilire un ponte tra game studies e critica d’arte contemporanea attraverso l’analisi di una serie di interventi artistici in-game. Vuole anche suggerire un quadro analitico alternativo al momento definito con il termine stituationist play, attraverso il quale osservare quegli interventi la cui matrice formale e politica è da rintracciarsi non solo nelle pratiche videoludiche contemporanee, ma anche nell’agenda operativa dei movimenti d’avanguardia, in particolar modo nell’IS. Lo sviluppo di tale concetto fa parte di un progetto di tesi dottorale tutt’ora in corso attraverso il quale si cercano di evidenziare affinità e divergenze tra le diverse sfere della produzione culturale e delineare in un’ottica transmediale il potenziale di avanguardia politica e culturale del videogioco (Galloway, 2006).
2. Dalle avanguardie ai videogiochi
Uno dei primi punti di contatto che è possibile individuare tra le pratiche sovversive delle avanguardie del Novecento e le forme oppositive di gioco risiede nella nozione di intervento, il cui significato può variare in base al contesto di attuazione. Nella sua accezione lessicale, il termine identifica un atto di partecipazione a qualcosa,8 a una discussione o a un convegno, ma può essere anche inteso come intromissione in qualche faccenda o attività al fine di esercitare un’azione diretta sul suo svolgimento o sul risultato finale. L’intervento presuppone dunque la messa in moto volontaria di un cambiamento per alterare lo stato corrente di un evento o una situazione. Il termine si lega a gesti che hanno una dimensione politica e che trovano il proprio input in contesti o attività che mettono in atto cambiamenti di natura culturale, politica e sociale. La storica dell’arte Claire Bishop (2019) analizza la dimensione politica della voce intervento, concependolo come una modalità attraverso cui il gesto artistico mette in relazione l’agire nello spazio pubblico, il tempismo politico,9 e la circolazione dell’azione attraverso i media.10 In tal senso, Bishop rintraccia uno dei suoi primi utilizzi nei movimenti artistici degli anni Settanta in America Latina, quando l’indebolimento delle dittature permise agli artisti di sfruttare e mobilitare lo spazio pubblico e i media in un momento di incertezza politica. L’intervento artistico si lega dunque anche al concetto di trasgressione e sovversione dell’ordine sociale e politico, dando vita a svariate forme di attivismo artistico sviluppatesi in diverse parti del mondo. Tuttavia, Bishop ritiene che negli anni l’utilizzo del termine abbia progressivamente perso la sua iniziale carica sovversiva poiché sempre più utilizzato per descrivere azioni realizzate (e preventivamente concordate) all’interno di gallerie e musei, spazi ad hoc dedicati all’arte e al gesto artistico. È diventato sempre più una pratica comune tra i critici occidentali soffermarsi sul gesto in quanto tale anziché valutarlo all’interno del quadro socio-politico in cui ha origine.
L’intervento inteso come tattica sovversiva autogenerativa ha mantenuto però il suo originario significato all’interno del panorama dei media digitali. L’analisi di Mary Flanagan in Critical Play. Radical Game Design (2009) parte da presupposti simili a quelli di Claire Bishop ma trasferisce le nozioni di sovversione e intervento in ambito videoludico. Come afferma l’artista e designer, “una sovversione è un’azione, volta a minare un’istituzione, un evento o un oggetto” (Flanagan, 2009) e, quando se ne parla, “è necessario conoscere il sistema o il fenomeno contro cui si sta lavorando, sia esso politico, sociale, legale o culturale” (Flanagan, 2009). Il suo ragionamento si rifà al significato che Antonio Negri (Hardt & Negri, 2001) attribuisce al termine, identificandolo come una serie di pratiche che possono ancora avere il potere di innescare cambiamenti di tipo sociale e politico, se usate nella giusta misura e con gli strumenti appropriati. Come sottolinea Flanagan, l’accezione di sovversione utilizzata da Negri indica un atto creativo anziché distruttivo in quanto mira alla costruzione di spazi di negoziazione e questa stessa logica può essere applicata allo spazio videoludico in quanto i giochi “esistono prima di tutto come sistemi di regole, e proprio per questo sono particolarmente suscettibili all’attuazione di pratiche sovversive” (Flanagan, 2009). Con l’eccezione di movimenti puramente estetici come ad esempio l’espressionismo astratto, molti movimenti del Novecento, specialmente quelli d’avanguardia, hanno utilizzato diverse strategie ed interventi di natura creativa per sovvertire le norme culturali del proprio tempo o per dar vita a delle contro narrazioni che sfidassero convenzioni sociali e politiche. In modo analogo, “i giocatori possono trarre grande piacere dal sovvertire le norme stabilite, sia negli ambienti di gioco più semplici che in quelli più complessi” ed “esplorare ciò che è lecito e ciò che si spinge al limite delle regole e delle aspettative all’interno di un determinato ambiente di gioco” (Flanagan, 2009).
2.1 Détournement E Forme Oppositive di Gioco
Nella raccolta di saggi From Diversion to Subversion. Games, Play, and Twentieth-Century Art (2011) curata da David J. Getsy, Anne Marie Schleiner individua nella concezione di società, spazio e gioco dell’IS numerose similitudini con il concetto di gamespace proposto da McKenzie Wark, secondo cui “i giochi rappresentano la versione utopica del mondo in cui viviamo realmente, a cavallo tra la quasi perfezione dei giochi contemporanei e lo spazio di gioco altamente imperfetto della vita quotidiana, e in cui il giocatore si trova a ricoprire il duplice ruolo di cittadino e soggetto performativo” (Wark, 2007). Le diverse avanguardie del Novecento hanno incorporato l’elemento del gioco nelle proprie pratiche, inteso come “un modello, un metodo creativo che integra e potenzialmente sostituisce i modi convenzionali di fare arte” (Zimna, 2010), ognuna a livelli diversi. Come sostiene Zimna, gli artisti si servirono del gioco “come serbatoio di nuovi mezzi espressivi” per “ridefinire la funzione propria dell’artista, dell’opera d’arte, dello spettatore e della galleria”. Dal Futurismo con l’organizzazione delle cosiddette serate futuriste, a Fluxus con il ruolo del caso e la commistione tra i vari elementi della cultura, passando per il Cabaret Voltaire, Dada, il Surrealismo, le provocazioni ironiche di Duchamp, le varie esperienze artistiche che si sono succedute nel corso del Novecento “hanno esplorato le potenzialità del gioco come fonte di creatività e di soluzioni inaspettate, […] come attività che trasgredisce le dicotomie tradizionali di lavoro e tempo libero, serio e non serio, utile e inutile, centrale e marginale” (Zimna, 2010). Anche l’IS ha messo al centro della propria agenda performativa la nozione di gioco., Traendo ispirazione dal saggio Homo Ludens (1938) di Johan Huizinga, Guy Debord,11 fondatore del gruppo, ha sviluppato pratiche ludico-artistiche per scardinare le norme oppressive della società capitalista. Nella sua accezione situazionista il gioco è “l’ethos politico di fondo della situazione, la base di una politica democratica radicale” (Penner, 2014). Per Debord il gioco non è sinonimo di creatività, ma è la capacità di cambiare le regole, di mettere in discussione lo status quo, è un esempio di pratica di autonomia ed è fondamentale nella costruzione della situazione. Come afferma Penner (2014),
Il compito di una situazione è quello di interrompere i ruoli fissi dello spettacolo: per favorire il ‘gioco’, occorre accentuare l’idea che le regole che stabiliscono i vari ‘ruoli’ – compreso quello fondamentale di ‘spettatore’ – sono costruite e quindi modificabili collettivamente. Per dirla con Vaneigem, l’autorità assoluta e “magica” del capitalismo deve essere rimossa.
Per l’IS, il gioco ha le potenzialità per creare “momenti di liberazione e di trasformazione, in cui i ruoli e le regole normali di una comunità o di una società vengono attenuate” (Schleiner, 2011), la sua non è un’azione creativa, ma un intervento politico-culturale di tipo trasformativo. L’IS ha cercato di mettere in atto queste operazioni attraverso numerosi interventi, tra cui la già citata situazione, la psicogeografia,12 la deriva, ma è attraverso il détournement che si può operare un ribaltamento dei significati. Attraverso di esso si arriva ad un tipo di decondizionamento culturale che consiste nell’utilizzare oggetti ed immagini strettamente connessi alla società borghese, sottrarli alla loro ordinaria destinazione d’uso e porli in un contesto qualitativamente diverso, in ottica rivoluzionaria. La storica dell’arte Rosalind Krauss lo definisce come “una doppia azione che espone la natura ideologica di un’immagine mass-mediale o lo statuto non funzionale di una forma artistica per rifunzionalizzarla ad uso politico-critico” (Krauss, 2006). Attraverso di esso, dunque, l’IS interviene direttamente nel sistema culturale del tempo e utilizza i suoi stessi codici per mettere in atto tattiche sovversive per raggiungere l’auspicato decondizionamento culturale. Caratteristica di tale intervento, inoltre, è la scelta di agire insinuandosi tra le maglie che compongono il sistema politico-culturale vigente, cercando di corromperlo dall’interno.
Le nozioni di contro-gioco che informano le diverse pratiche oppositive di gioco condividono alcune similitudini con l’intento sovversivo di movimenti come l’IS, prima tra tutte la volontà di mettere in atto interventi che si pongono in contrasto non solo con le regole del sistema entro cui vanno ad operare, ovvero quello di gioco, ma anche con i codici di condotta solitamente condivisi dai giocatori, specialmente nei contesti multigiocatore. Attività come quelle del trolling, cheating, griefing,13, per citarne alcune, vengono riunite da Meades (2015) all’interno del concetto di counterplay, che descrive pratiche ostili e antisociali che disturbano intenzionalmente gli altri giocatori per rovinare la sessione di gioco. Se il counterplay identifica la dimensione sociale degli interventi che vanno contro alle aspettative che i giocatori hanno verso il gioco e gli altri, con la formula transgressive play Aarseth (2007) individua i gesti di ribellione simbolici nei confronti del gioco, che permettono ai giocatori di compiere azioni inaspettate che, tuttavia, non sono esplicitamente vietate, “in altre parole, non fanno parte del repertorio previsto dal gioco e nella maggior parte dei casi sarebbero state rese impossibili se i game designer avessero potuto prevederle” (Aarseth, 2007). Con transgressive play, si descrivono quindi quegli interventi che vanno a testare i limiti del gioco. Con il concetto di bad play, invece, Myers (2010) analizza quelle forme di violazione delle regole, rappresentate dal codice del gioco, che hanno lo scopo di ottenere una loro comprensione più completa per accedere a forme di gioco più libere, mentre Juul definisce con emergent gameplay (2002) l’utilizzo di un gioco nelle modalità non previste dal game designer e la creazione spontanea di un nuovo set di regole e pratiche da parte dei giocatori.
Già in questa breve selezione delle modalità di analisi delle operazioni che mirano a destrutturare i sistemi di gioco e il rapporto gameplay-giocatore è possibile individuare dei punti di contatto con le avanguardie e le operazioni dell’IS sopra citate. Nello specifico, la volontà di andare a testare i limiti e le possibilità dei sistemi in cui abitiamo, digitali o fisici che siano. Alla base c’è quindi una spinta sovversiva che dalle avanguardie viene traslata anche nei sistemi di gioco. Tuttavia, per ampliare lo studio degli interventi in-game anche alle pratiche che utilizzano il videogioco come mezzo di indagine politico-critica nell’ottica delineata da autori come McKenzie Wark e Soraya Murray, è necessario affiancare allo studio del gameplay in quanto sistema-gioco un quadro concettuale di più ampio respiro, in cui osservarlo come spazio di contestazione, allo stesso modo in cui le avanguardie del Novecento vedevano nell’arte, nella politica e nella cultura del proprio tempo spazi di ri-funzionalizzazione per sovvertire i codici normativi. Come afferma Soraya Murray (2016) i giochi “sono contingenti, riflettono la realtà sociale del loro tempo e le sue interpretazioni; persino le manifestazioni testuali possono essere rimodellate dalla loro produzione/consumo attraverso il gioco. Sono forme estremamente avvincenti di cultura visuale in grado di generare mondi ulteriori”.
3. Situationist play: rifunzionalizzazione degli spazi di gioco
Con il concetto di situationist play si vuole cercare di sviluppare un nuovo framework di riferimento con cui analizzare pratiche performative simili a quelle precedentemente descritte, la cui matrice formale ed estetico-politica, è da rintracciarsi non solo nelle forme oppositive di gioco, quindi nell’ambito videoludico e dei game studies, ma anche nel campo dell’arte, e più precisamente nell’agenda operativa delle avanguardie, soprattutto in quella dell’IS. Tale quadro analitico riflette sul mezzo videoludico scomponendolo in due tipologie di sistemi che, a gradi diversi, influenzano simultaneamente gli interventi performativi in-game: il sistema gioco, composto da regole e meccaniche che ruotano attorno al gameplay, e il sistema visivo-culturale, che permette al videogioco di operare come forma di rappresentazione dinamica, ovvero come spazio di negoziazione in cui si possono individuare frizioni culturali, sociali o politiche irrisolte (Murray, 2017). Il concetto è tuttora in via di sviluppo poiché sviluppato in una ricerca dottorale ancora in atto, ma è possibile definirlo a questo stadio come un tipo di insurrezione invisibile (Trocchi, 1963) che agisce internamente al sistema videoludico, senza andare a modificare né il gameplay né il codice. È un’operazione di tipo trasformativo che, in modo simile alle operazioni dell’IS, gioca con le caratteristiche formali del mezzo videoludico e ne devia le convenzioni: si appropria dei principi del détournement situazionista per innescare un processo di ri-funzionalizzazione dello spazio di gioco con lo scopo di intraprendere una riorganizzazione delle sue unità discrete e dei suoi significati poiché “i videogiochi sono delle pratiche di image-making che rispecchiano una serie di situazioni riscontrabili nella società odierna calati all’interno di un preciso momento storico” (Murray, 2017).
Gli interventi ludico-artistici che rientrano in questo quadro di riferimento agiscono all’interno delle regole del gameplay per testare limiti e convenzioni del sistema di gioco di riferimento. Difatti, il loro scopo è quello di “rivelare l’apparato politico al di là delle trame patinate e iperreali di questi media” (Total Refusal). Generalmente questo tipo di performance non impiega alcuna mod poiché lo spazio di gioco e le sue regole svolgono il ruolo di costrutti in cui azione e immagini dipingono un complesso sistema di valori che descrive il sistema politico-culturale contemporaneo (Murray, 2017). Nel caso di un loro eventuale utilizzo, queste sono solamente tecnicamente funzionali a scopi ben precisi. Ad esempio, nella performance Dark Tourism (2021) organizzata all’interno del videogioco DayZ (Bohemia Interactive, 2013), Total Refusal ha usufruito di alcune mod per utilizzare diversi tipi di veicoli con cui spostarsi nell’isola di gioco di Namalsk. Al di là di questo, il collettivo e i partecipanti alla performance hanno lasciato invariato lo spazio di gioco esaminandolo in qualità di simulacro per riflettere sull’attuale realtà post-sovietica “attraverso gli occhi di cicloturisti che percorrono strade vuote e osservano l’architettura” (Total Refusal, 2021).14 L’approccio videoludico di tipo situazionista, insinuandosi nelle maglie del sistema entro cui opera, condivide alcune somiglianze anche con le pratiche di resistenza che Anna Watkins-Fisher definisce parasitic resistance (2020), prendendo a modello il comportamento che il parassita ha nei confronti del suo host. Il parassita lo attacca camuffandosi da elemento innocuo che segue quelle che sono le regole di comportamento del sistema che ha intenzione di danneggiare. In questa prima fase, l’host non percepisce il parassita come minaccia e perciò lo lascia agire fintanto che le sue vere intenzioni non risultano evidenti rendendosi necessaria la sua eliminazione. Ciò si evince maggiormente nei contesti multigiocatore. Ad esempio, nell’intervento Dead in Iraq (2006-2011) realizzato nel videogioco sparatutto America’s Army,15 Joseph DeLappe ha organizzato un intervento performativo scrivendo nella chat di gioco i nomi dei soldati caduti nel conflitto senza intraprendere alcun tipo di combattimento, azione ammessa dal gameplay. Tuttavia, il suo comportamento ha introdotto un elemento di disturbo per gli altri giocatori che, vedendo il suo avatar non comportarsi secondo le aspettative, hanno iniziato ripetutamente ad ucciderlo per impedirgli di proseguire la sessione di gioco/performance.
L’artista segue quelle che sono le regole di gioco, non vi apporta alcuna modifica, ma non appena si incontra e scontra con gli altri giocatori, le sue azioni vengono esposte e, come è accaduto in Dead in Iraq, l’avatar viene eliminato. Il giocatore si trova quindi a navigare due sistemi dotati di due codici di lettura diversi ma complementari, poiché le azioni e le aspettative dei giocatori sono influenzate dalle regole inscritte nel gameplay.
Di seguito si procederà all’analisi di un’operazione molto complessa realizzata dall’attore Sam Crane all’interno di GTA Online (Rockstar, 2013), in cui ha cercato di portare sulla scena di Los Santos l’intera produzione dell’Amleto (1603) di Shakespeare, dopo numerosi tentativi in cui gli altri giocatori hanno ripetutamente ucciso il suo avatar. Tale analisi permetterà di dimostrare come operazioni così articolate dal punto di vista formale ed estetico abbiano bisogno di nuovi strumenti di analisi che si interfaccino con altrettanti ambiti di ricerca.
3.1 Shakespeare in GTA Online
Nei panni del suo alter ego digitale, l’attore inglese Sam Crane — online con lo pseudonimo di Rustic Mascara — ha iniziato nel 2021 una serie di performance all’interno di GTA Online con l’intento di recitare Shakespeare nello spazio di gioco. Prima di riuscire a portare a termine l’Amleto, Crane ha fatto diverse prove in svariati server pubblici del gioco, recitando alcuni estratti delle opere più celebri del drammaturgo inglese. Durante una di queste prove sul litorale di Los Santos, in compagnia di altri giocatori, Crane ha tentato di recitare uno dei vari monologhi di Amleto, What a piece of work is a man, ma dopo pochi istanti il suo avatar è stato spazzato via da un razzo. L’attore non si è scomposto e ha ripreso subito il monologo da dove è stato interrotto: attorno a lui i giocatori continuavano ad uccidersi tra di loro; l’avatar di Sam Crane si muoveva sulla spiaggia come se fosse su un palcoscenico schivando i proiettili vaganti, quasi facessero parte dell’azione teatrale. Uno dei giocatori sembrava incuriosito da quello strambo comportamento, rimanendo ad osservarlo fino alla fine del monologo. Quando l’attore gli ha chiesto se per caso gli fosse piaciuta la performance, il giocatore se ne è andato canticchiando. In un’altra occasione insieme all’attore Mark Oosterveen, Crane prova a recitare nuovamente un estratto dall’Amleto, il dialogo tra Francisco e Bernardo, al Vinewood Bowl, scherzando sul fatto che fosse la prima volta che Shakespeare venisse portato su un palco simile. Anche in questo caso la performance teatrale viene interrotta svariate volte da un giocatore che inizia a sparare a Crane e a Oosterveen. Per una serie fortuita di eventi, performance teatrale e azione videoludica si allineano perfettamente dando vita ad un surreale momento metanarrativo e meta-performativo colmo di ironia, tratto dalla scena I dell’atto I dell’opera shakespeariana:
BERNARDO
Tutto quieto?
FRANCISCO
Non s’è mosso un topo.
BERNARDO
Bene, buonanotte.
Se incontri
i miei compagni di guardia
Orazio e Marcello, fagli fretta.
FRANCISCO
Li sento arrivare, credo.
Ma anziché fare la loro comparsa Orazio e Marcello, irrompono sulla scena i poliziotti che esplodono colpi di pistola verso i due attori i quali, tra una sparatoria e l’altra, e ridendo per l’assurdità della scena e il tempismo degli NPC, cercano di continuare il loro monologo fino a che non vengono uccisi in un rocambolesco inseguimento sul palco del Vinewood Bowl. Questo tipo di incursioni avvicina la performance di Crane, ma anche quella precedente di Total Refusal, all’happening,16 per il ruolo svolto dallo spettatore e dal caso nella creazione di esperienze meta-teatrali. Esse, da un lato rompono la cosiddetta quarta parete, dall’altro eliminano qualsiasi barriera tra pubblico e performer/giocatore, andando a ridefinire così la stessa natura dell’ambiente di gioco senza però modificarlo nelle sue unità discrete. Entrambe le performance scardinano dunque nozioni come quella di intervento teatrale, giocatore, gameplay ed esperienza di gioco.
Dopo numerose prove in GTA Online, Sam Crane e Mark Oosterveen riescono finalmente a portare l’Amleto a Los Santos con una produzione davvero notevole, formata da 16 attori e un pubblico in-game composto da 6 spettatori,17 distribuita su svariati luoghi sparpagliati per tutta la città. La performance18 ha avuto luogo su un server dedicato, questa volta senza l’incursione di un pubblico esterno, ed è stata trasmessa in diretta sul canale YouTube di Sam Crane il 4 luglio del 2022. Il pubblico ha avuto la possibilità di interagire con la stage director Pinny Grylls, incaricata di gestire anche la camera di gioco per seguire gli attori sulla scena. In questa produzione del tutto fuori dagli schemi, performance artistica, gameplay ed interfaccia di gioco si amalgamano perfettamente in un tipo di intervento che mette insieme due ambiti all’apparenza diametralmente opposti: la performance di gioco e la performance teatrale. Gli spazi della Los Santos di GTA Online vengono ri-funzionalizzati e trasformati in un palco teatrale itinerante che permea tutta la città. Pinny Grylls si muove sulla scena riprendendo gli attori da diverse angolazioni e utilizza l’applicazione Snapmatic sul telefono di gioco per ottenere delle inquadrature più ravvicinate dei vari personaggi, senza dover invadere la scena. Grazie alla fotocamera in-game riesce a seguire gli attori creando delle riprese che conferiscono drammaticità all’azione e fanno passare in secondo piano i saltuari glitch e le movenze a volte macchinose degli avatar. Il menù delle opzioni dell’interfaccia della camera, infine, simula quasi un canovaccio sul quale sono indicate le istruzioni di scena. Sam Crane interpreta con pathos Amleto muovendosi con disinvoltura, quasi il suo avatar fosse in qualche modo connesso con il suo corpo reale. Il pubblico in-game segue attentamente gli spostamenti degli attori tra le diverse scene, stando attento a non comparire accidentalmente in camera, mentre sullo schermo appaiono in sovrimpressione i consueti avvisi di gioco. Sul normale svolgimento del gioco si innesta dunque la performance teatrale che, essendo in diretta live, mette in scena anche ciò che normalmente a teatro accade al di là del sipario: il passaggio da un atto all’altro, gli attori che si affrettano a prendere il proprio posto, le indicazioni di scena. Infine, come ogni prima che si rispetti, gli attori hanno organizzato anche un after party in-game per celebrare la buona riuscita del progetto. L’Amleto di Sam Crane invita anche a riflettere sulla nozione stessa del pubblico/giocatore: da un lato quello in-game che segue gli attori non solo con gli occhi, ma anche fisicamente attraverso il proprio avatar; dall’altro, quello fuori dal gioco che interagisce attraverso la chat pubblica messa a disposizione durante la live. Allo stesso tempo, dunque, compaiono sullo schermo diversi elementi che vanno in scena simultaneamente: gli attori intenti a recitare l’Amleto, il gioco stesso, il pubblico in-game che è sia giocatore che spettatore, e quello che guarda l’intervento in diretta su YouTube.
Le attività di role playing in GTA Online non sono di per sé una novità e negli ultimi mesi hanno acquistato un grande seguito grazie anche all’attività di numerosi streamer di Twitch. GTA RP (Grand Theft Auto Role Play) è una mod19 multigiocatore per la versione PC di GTA V che permette ai giocatori di personalizzare ancora di più la propria esperienza di gioco vestendo i panni di normali NPC all’interno di svariate tipologie di server. L’accesso a questi ultimi non è automatico, in quanto alcuni sono sottoposti ad invito, mentre altri richiedono di mettere alla prova il talento del giocatore — nei confronti degli streamer più popolari si chiude solitamente un occhio — attraverso delle prove che dovrebbero indicare quanto si riesce a rimanere nei panni del proprio personaggio senza sgarrare e senza rovinare il divertimento agli altri.
Sebbene la versione finale dell’Amleto di Sam Crane abbia degli elementi di contatto con queste dinamiche — la creazione di un server apposito su invito e l’interpretazione in-game di una serie di personaggi —, i server di role playing di GTA Online sono delle estensioni delle possibilità di gioco che catturano il giocatore all’interno dell’universo di Rockstar. Al contrario, l’intervento di Crane si serve del gameplay e dell’assetto di GTA Online per mettere a punto una produzione teatrale in un ambiente digitale che di norma non gli apparterrebbe. Le sue incursioni nei server pubblici del gioco sono ancora più drammatiche poiché in questi casi l’attore si scontra con quelle che sono le aspettative degli altri giocatori, ai quali non interessa ascoltare Shakespeare, come spesso accade guardando i numerosi tentativi pubblicati online sul suo canale YouTube, ma anzi, preferiscono prendere parte a scontri rocamboleschi. Come nel caso di Operation Jane Walk, anche in queste situazioni il ruolo di Sam Crane è un ibrido, uno spoilsport, e le sue azioni influiscono sulla percezione più o meno positiva che gli altri giocatori hanno dell’esperienza di gioco. L’attore agisce entro quelle che sono le regole funzionali del gameplay, ma non risponde ai codici normativi socialmente condivisi.
4. Conclusioni
Il presente saggio vuole porre l’attenzione su una duplice necessità nell’ambito dei game studies: da un lato, rivedere e aggiornare le modalità di studio di quelle ibridazioni performative a cavallo tra countergaming e performance artistica come forma di resistenza; dall’altro, formulare nuovi framework di riferimento per studiare il concetto di sovversione videoludica alla luce dell’esperienza delle avanguardie, le cui pratiche vengono continuamente aggiornate e riadattate ai linguaggi contemporanei. Il concetto di situationist play descritto in questa sede, sia pure ancora acerbo nella definizione delle sue caratteristiche formali, fa parte di uno studio di più ampio, tuttora in corso, il cui scopo è quello di valutare se ancora oggi il processo di countergaming descritto da Galloway (2006) sia rimasto incompiuto, o se sia possibile rintracciare una nuova grammatica dell’azione (Galloway, 2006) tra gli artisti contemporanei che utilizzano il mezzo videoludico come spazio di resistenza e negoziazione a fine politico-critici.
Gli interventi descritti in questa sede e realizzati all’interno di tipologie diverse di videogiochi, dai multiplayer ai single player, si pongono a cavallo tra performance videoludica e performance artistica, e dimostrano come entrambi gli ambiti di ricerca siano necessari per intercettare nuove modalità di utilizzo del mezzo ed esaminare il suo ruolo nel panorama mediale contemporaneo. Probabilmente, la critica concreta al gameplay come Galloway l’ha originariamente concepita non si è ancora verificata, ma gli interventi qui esaminati portano alla luce il “potenziale di avanguardia politica e culturale del videogioco” (Galloway, 2006), nella misura in cui ri-funzionalizzando lo spazio di gioco senza intervenire sull’aspetto visuale, né tantomeno sul gameplay. Evidenziano come il gamespace agisca come palinsesto culturale (Murray, 2017) che “modella i sistemi di valori e le considerazioni etiche, non solo a livello di azione all’interno del luogo, ma anche nel luogo stesso” (Murray, 2017). Queste performance possono portare alla luce modalità alternative di utilizzo del mezzo videoludico in un’ottica d’avanguardia, suggerire nuove possibilità di interazione tra videogioco e giocatori e, infine, la nascita di nuove forme di interazione sociale nello spazio videoludico.
Come ricorda T.L. Taylor (2019), “il videogioco è, da sempre, il proverbiale canarino nella miniera: se vuoi intravedere lo sviluppo sociale e scorgere i possibili futuri che ci attendono, presta attenzione ai videogiochi e ai videogiocatori”.20
End notes
1. L’origine del termine deriva dalla crasi delle parole machine e cinema (Hancock, 2000) e, nella sua accezione più tecnica formulata da Paul Marino (2004), il machinima indica “la produzione in tempo reale di film d’animazione all’interno di un ambiente virtuale 3D utilizzando i videogiochi”. A distanza di venticinque anni dalle prime sperimentazioni, il machinima si è affermato come vera e propria forma d’arte impiegata da numerosi artisti e collettivi per la realizzazione di performance, documentari, video saggi, ecc.., all’interno del videogioco.
2. Videogiochi sviluppati appositamente con un intento critico per riflettere su problematiche sociali e politiche, spesso realizzati da artisti o collettivi.
3. È possibile leggere l’intervista completa tra Brent Watanabe e Matteo Bittanti, in occasione della seconda edizione del programma di screening di machinima VRA,L al seguente indirizzo: https://milanmachinimafestival.org/vral-9-brent-watanabe.
4. Le meccaniche di gioco di Animal Crossing: New Horizons rafforzano l’attrazione verso un’estetica dell’accumulo che influenza le pratiche videoludiche dei giocatori, le quali sono dettate dalla necessità di realizzare isole che rispondono a precisi canoni estetici legati al concetto di aesthetically pleasing, fortemente promosso dal gioco. Associato all’utilizzo dei social media, in particolar modo di Instagram, e alle logiche di marketing, tale idea riguarda lo sviluppo e la promozione di una comunicazione visiva accuratamente pianificata in cui ogni immagine, trasformata in un ricettore di like, concorre alla creazione di un immaginario visivo uniforme e piacevole alla vista. All’interno della community di Animal Crossing: New Horizons cioè si traduce nello sviluppo di dinamiche produttive di tipo capitalistico incentivate dalla stessa economia del gioco: per produrre o acquistare oggetti è necessario mettersi al lavoro sfruttando le risorse naturali dell’isola e cimentarsi in operazioni di compravendita via via sempre più complesse in base al grado di customizzazione che si vuole raggiungere.
5. Estratto dall’intervista tra l’artista e Matteo Bittanti.
6. Descrizione dell’intervento presente sul sito di Total Refusal.
7. Un let’s play è una partita, in diretta live o registrata, in cui il giocatore fa una cronaca degli eventi del gioco a cui sta giocando per intrattenere lo spettatore.
8. Treccani lo definisce come «l’atto di intervenire, di partecipare cioè a una riunione, a una cerimonia, ecc., di prendere la parola in una discussione, in un convegno e sim., o di intromettersi, di ingerirsi in qualche faccenda o attività col fine di esercitare un’azione diretta sullo svolgimento di essa».
9. Claire Bishop attribuisce il concetto di tempismo politico, definito political timing, all’artista cubana Tania Bruguera. In un articolo scritto nel 2019 per Artforum, Bishop sottolinea come per l’artista sia importante considerare il gesto di attivismo artistico in relazione al contesto e al momento in cui esso viene esercitato nello spazio pubblico per coglierne appieno la dimensione politica. La critica di Tania Bruguera è rivolta a molti curatori e storici occidentali che si soffermano sull’analisi del gesto in quanto tale anziché considerarlo in una dimensione più ampia che tiene di conto della situazione politica e sociale di paesi come ad esempio Cuba.
10. La riflessione di Bishop è stata ripresa dal ciclo di incontri online dal titolo The term “intervention” as a strategy of working in the public space, programmato dall’Università IULM ad aprile 2021 per il Dottorato in Visual and Media Studies.
11. Guy Debord (1932-1994) è stato una delle figure più importanti dell’avanguardia del Novecento e il fondatore dell’Internazionale Situazionista. Tra le numerose opere realizzate, nel 1967 pubblica il seminale saggio di ispirazione marxista, La società dello spettacolo, in cui critica aspramente le storture della società capitalista e la spettacolarizzazione del consumismo.
12. La psicogeografia è una metodologia di indagine dello spazio urbano risalente agli anni Cinquanta del Novencento.
13. In ambito videoludico, il termine cheating si riferisce a tutte quelle azioni che esulano dal progredire facendo esclusivamente affidamento sulle proprie abilità di giocatore ed è un tipo di attività goal-oriented. Con grief-play si indicano interventi non interessati al risultato ma effettuati per il puro divertimento nel disturbare e rovinare la partita altrui. Il troll è simile al precedente, ma opera individualmente all’interno del videogioco e non è interessato ad esercitare un tipo di dominanza fisica nei confronti degli altri giocatori, bensì tenta di innescare dispute verbali più o meno violente.
14. Statement del collettivo che in realtà ben descrive il tipo di approccio di numerosi interventi artistici in ambito videoludico.
15. Il governo americano ha chiuso definitivamente i server del gioco a maggio nel 2022.
16. Con il termine happening si fa riferimento ad una serie di eventi teatrali sviluppati tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Sono stati i capostipiti dell’arte performativa e traggono ispirazione dalle diverse esperienze delle avanguardie, in particolare il Futurismo, DADA e il Surrealismo. Gli happening combinavano svariati elementi, tra cui la pittura, la poesia, la musica, la danza, il teatro, ma anche l’elemento del caso e la presenza del pubblico, e la loro natura è stata così variegata che il loro intento poteva variare dallo scopo politico a quello puramente performativo.
17. Sulla sua pagina Instagram e su quella del suo alter ego digitale, Sam Crane ha annunciato l’apertura dei casting per la selezione degli attori che avrebbero preso parte alla produzione dell’Amleto in GTA Online e ha dato la possibilità agli utenti di condividere il proprio PSN ID per essere aggiunti al server di gioco ed entrare a far parte del pubblico in-game.
18. La performance è disponibile sul canale YouTube di Sam Crane, Rustic Mascara, al seguente indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=5Lut5leeOr0&t=107s. La live è divisa inoltre in atti e scene come una vera e propria pièce teatrale, navigabili attraverso la funzione capitoli.
19. Esistono diversi tipi di mod in base ai server disponibili, ma una delle più usate è FiveM. Alcuni server sono aperti a tutti i giocatori ma quelli che vanno per la maggiore sono quelli ad invito o tramite application, come quello di NoPixel, uno dei più gettonati. Le richieste erano così tante che il server è attualmente chiuso e non accetta ulteriori giocatori.
20. Traduzione di Matteo Bittanti tratta dalla raccolta di saggi Game over. Critica della ragione videoludica (2020). L’affermazione di T.L. Taylor è tratta da un’intervista online con B. R. Cohen dal titolo Public Thinker: T. L. Taylor On Gamergate, Live-Streaming, And Esports, pubblicata nel 2019 per Public Books e accessibile al seguente indirizzo: https://www.publicbooks.org/public-thinker-t-l-taylor-on-gamergate-live-streaming-and-esports/.
References
Aarseth, E. (2007). I Fought the Law: Transgressive Play and The Implied Player. Proceedings of DiGRA 2007 Conference, (130-133).
Ang, C. S. (2006). Rules, gameplay, and narratives in video games. Simulation & Gaming, volume 37 (issue 3). Retrieved from: https://doi.org/10.1177/1046878105285604.
Berger, E. (2021). Accelerazione. Correnti utopiche da Dada alla CCRU. Milano: NERO Editions.
Bishop, C. (2019). Rise to the Occasion. Claire Bishop on the Art or Political timing. Artforum, May 2019. Retrieved from: https://www.artforum.com/features/claire-bishop-on-the-art-of-political-timing-243070/.
Bittanti, M. (2017). Machinima. Dal videogioco alla videoarte. Milano: Mimesis.
Bittanti, M. (2020a). Re: Contro il videogioco [Ludica]. Retrived from: https://www.ludicamag.com/contro-il-videogioco/.
Bittanti, M., (2020b), Game over. Critica della ragione videoludica Milano: Mimesis.
Bittanti M. & Quaranta D. (2008). GAMESCENES. Art in the Age of Videogames. Milano: Johan & Levi.
Cappai, R. (2019). Aliens Against Alienation: How queer developers subvert gameplay (doing it themselves). Keep it Simple Make it Fast! An approach to underground music scenes (vol. 4). Retrieved from https://ler.letras.up.pt/uploads/ficheiros/17751.pdf.
Cohen, B. R. & Taylor, T. L. (2019). Public Thinker: T. L. Taylor On Gamergate, Live-Streaming, And Esports, Retrieved from: https://www.publicbooks.org/public-thinker-t-l-taylor-on-gamergate-live-streaming-and-esports/.
Consalvo, M. (2009). There is No Magic Circle. Games and Culture, 4. Retrieved from: https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/1555412009343575.
Debord, G. (2017). La società dello spettacolo. Milano: Baldini & Castoldi [edizione originale 1967].
Fernández-Vara, C. (2009). Play’s the Thing: A framework to Study Videogames as Performance. Proceedings of DiGRA 2009.
Fisher, A. (2020). The Play in the System. The Art of Parasitical Resistance. Durham and London: Duke University Press.
Flanagan, M. (2009). Critical Play. Radical Game Design. The MIT Press Cambridge, MA.
Foster, H., Krauss, R., Bois, Y.A., Buchloh, B. & Joselit, D. (2016). Arte dal 1900. Modernismo, Antimodernismo, Postmodernismo. Bologna: Zanichelli.
Galloway, A. (with Arcagni, S.). (2022). Gaming. Saggi sulla cultura algoritmica. Roma: Luca Sossella Editore, Roma. (Original work published 2006).
Getsy, D. J. & Schleiner, A. M. (2011). (eds.), From Diversion to Subversion: Games, Play, and Twentieth-Century Art. University Park: Pennsylvania State University Press.
Guardiola, E. (2016). The Gameplay Loop: A Player Activist Model for Game Design and Analysis. Retrieved from: https://www.semanticscholar.org/paper/The- Gameplay-Loop%3A-a-Player-Activity-Model-for-Game-Guardiola/fc79b356c49251dd2c68e73a8d8346274f108208.
Guardiola, E. (2019). Gameplay Definition: A Game Design Perspective. Proceedings of GAME ON Conference.
Hancock, H. (2000). Welcome to Machinima.com! 3 January, Machinima.com, Retrieved from: https://web.archive.org/web/20000817214136/http://www.machinima.com/ar ticles/Machinima-com%20intro/page1.shtml.
Hardt, M. & Negri, T., Empire. Cambridge: Harvard University Press, 2001.
Home, S. (1996). What is Situationism? A Reader. Edinburgh: AK PRESS.
Huizinga, J. (1938). Homo ludens: Proeve eener bepaling van het spel-element der cultuur. Haarlem: Tjeenk Willink,
Jahn, B. & Möring, S. (2018). An Inclusive Perspective on Gameplay: Towards a wide understanding of gameplay in theory and praxis. Proceedings Of The 2018 Digra International Conference.
Juul, J. (2002). The Open and the Closed: Games of Emergence and Games of Progression. Computer Games and Digital Cultures Conference Proceedings (pp. 323-329), Tampere.
Lowood, H. & Nitsche, M. (2011). The Machinima Reader. London: The MIT Press.
Marino, P. (2004). 3D Game-Based Filmmaking: The Art of Machinima: Creating Animated Films with 3D Game Technology. Paraglyph Press: Scotsdale.
Meades, A. F. (2015). Understanding Counterplay in Video Games. New York: Routledge.
Myers, D. (2010). Play Redux: The Form of Computer Games. Ann Arbor: University of Michigan Press.
Murray S. (2017). On video games. The visual politics of race, gender and space. Londra: Bloomsbury Publishing.
Penner, D. (2015). 6 Guy Debord and the Politics of Play. In M. Breaugh, C. Holman, R. Magnusson, P. Mazzocchi & D. Penner (Ed.), Thinking Radical Democracy: The Return to Politics in Post-War France (pp. 165-186). Toronto: University of Toronto Press. https://doi.org/10.3138/9781442621992-008
Perniola, M. (2013). L’avventura situazionista. Storia critica dell’ultima avanguardia del XX secolo. Milano: Mimesis.
Plant, S. (1992). The Most Radical Gesture. The Situationist International in Postmodern Age. London: Routledge.
Salen, K., & Zimmerman, E. (2004). Rules of Play: Game Design Fundamentals. Cambridge: The MIT Press.
Schleiner, A. M. (2017). The Player’s Power to Change the Game. Ludic Mutation. Amsterdam: Amsterdam University Press.
Schrank, B. (2014). Avant-garde videogames. Playing with Technoculture. Cambridge: The MIT Press.
Scully-Blaker, R. (2019). Working on and at Play: Perception and Visibility in Games. Digital Culture & Society, 5(2), 41-60. https://doi.org/10.14361/dcs-2019-0204
Suits, B. (1978). The Grasshopper: Games, Life and Utopia. Toronto, Buffalo, & London: University of Toronto Press.
Trocchi, A. (1963). Technique du coup du monde. Internationale situationniste, n. 8, Janvier.
Walther, B. K. (2011). Towards a theory of pervasive ludology: reflections on gameplay, rules, and space. Digital Creativity, volume 22 (issue 3). Retrieved from: http://dx.doi.org/10.1080/14626268.2011.603734
Wark, M. (2007). Gamer Theory. Retrieved from: https://www.kobo.com/gr/en/ebook/gamer-theory
Watanabe, B. (2020). Animal Crossing. All Mine. Retrieved from https://milanmachinimafestival.org/vral-9-brent-watanabe.
Zimna K. (2010). Play in the theory and the practice of art (Doctoral dissertation, Loughborough University, UK). Retrieved from https://repository.lboro.ac.uk/articles/thesis/Play_in_the_theory_and_practice_of_art/9333035.
Ludography
America’s Army, United States Army, 2002 – 2022.
Animal Crossing: New Horizons, Nintendo, 2020.
Counter-Strike, Valve, 1999 – present.
DayZ, Bohemia Interactive, 2013.
Grand Theft Auto Online, Rockstar Games, 2013 – present.
Half-Life, Valve, 1998 – present.
Tom Clancy’s: The Division, Massive Entertainment, 2015.
Author’s Info
Gemma Fantacci
Università IULM
gemma.fantacci@studenti.iulm.it
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International License.