CriticalCity Upload è prima di tutto un progetto di trasformazione urbana concepito in chiave creativa. Se si volesse cucirgli addosso un’etichetta sarebbe quella di urban transformation game, ramificazione della numerosa famiglia dei pervasive games. Il progetto nasce da un’idea di Augusto Pirovano e Matteo Battaglia e già al suo stadio germinale godeva di un carattere fondamentale ovvero stimolare la creatività dei più giovani coinvolgendoli in un gioco che avesse luogo nelle loro città.
CriticalCity Upload rientra tra i lavori della cooperativa sociale Focus 1 ed ha avuto la possibilità di crescere ulteriormente grazie alla vittoria del bando per la creatività giovanile 2010, indetto dalla Fondazione Cariplo che gli ha fornito un co-finanziamento 2. Inoltre CCU è totalmente gratuito, condizione che rispecchia in pieno i caratteri di apertura e partecipazione al cambiamento sostenuti dal gioco.
Il game si caratterizza dunque per una forma ibrida, basata su una struttura fortemente democratica ed incentrata su missioni di gioco concepite come micro-progetti creativi. Considerare CCU come dotato di una natura ibrida appare del resto piuttosto scontato, data l’essenza altrettanto composita dei giochi definiti come pervasive game. Tuttavia in questo caso l’ibridazione è asservita alla narrazione prodotta dal giocatore stesso e corrispondente alla restituzione della realtà così come essa risulta a seguito della sua ludicizzazione. I giocatori agiscono in veste di moderni esploratori, in grado di svelare nuovi tratti dei territori che abitano, vivendoli in forma inedita e modificandone la percezione, non solo a livello personale ma anche a quello sociale.
La struttura del gioco è piuttosto semplice e sfrutta le potenzialità narrative dei media attuali, coinvolgendo le dinamiche tipiche dei social network e facendo della produzione grassroots il proprio motore. Il meccanismo di base è costituito da missioni, intese nel senso convenzionale di “istruzioni per la realizzazione di azioni”, che per essere validate devono essere documentate attraverso immagini, testi e contributi audiovisivi auto-prodotti dal giocatore. Istituendo dunque una relazione diretta tra documentazione della missione e acquisizione di un punteggio, la narrazione creata dal giocatore acquisirà lo status di traccia con una valenza spuria tra l’idiomatico e il documentale.
I compiti da svolgere corrispondono ad un percorso di gioco; tuttavia a differenza della maggior parte dei games non siamo di fronte a un innalzamento del gradiente di difficoltà corrispettivo alla crescita di livello, ma piuttosto a un progressivo coinvolgimento basato sulla possibilità di sbloccare le missioni “urbane”. Il giocatore in fase germinale infatti svolgerà delle semplici missioni per lo più in ambienti chiusi e incentrate sul proprio mondo, e solo successivamente potrà arrivare al vero cuore urban del gioco. In questo modo è possibile farsi conoscere dalla community, in cui si viene gradualmente invitati a prendere parte, grazie a piccole missioni che possono essere commentate e votate dagli altri giocatori. In questo caso i primi livelli di gioco che possiamo etichettare banalmente come “casalinghi”, fungono da prologo auto-narrato del gioco vero e proprio, in cui il giocatore inizia a prendere confidenza con le dinamiche della community e viene accompagnato verso lo svolgimento delle missioni su suolo urbano. Altrettanto rilevante e a conferma dell’importanza data al network dei players, risulta la geolocalizzazione sia del giocatore che delle missioni svolte, attuata attraverso l’ausilio di una mappa presente in ogni profilo e potenziata a livello macro dalla cartina fisica del territorio italiano che tiene traccia di tutti i giocatori, i nodi e le esecuzioni 3. Su queste mappe si possono individuare delle tendenze diffuse che attuano un processo di inscrizione dell’evoluzione biografica del giocatore 4 testimoniata attraverso le tracce delle sue missioni e del suo luogo di residenza. Gli indicatori spaziali agiscono come risorse in grado di stimolare la nascita di interazioni sociali nella forma tipica della Network locality 5, in cui le persone entrano in contatto con informazioni di carattere locale. Questo aspetto viene sviluppato attraverso i “nodi”, aree in cui svolgere missioni è vantaggioso perché si ottengono punti bonus. Questa strategia, influenzata dalle idee di Jaimie Lerner 6, mira ad aumentare il basso gradiente di socialità di alcune zone della città attraverso spinte creative. La generazione di un nodo viene demandata ai giocatori stessi che, dopo aver svolto su quel territorio almeno tre missioni, possono fare richiesta di attivazione. In caso di approvazione i punti bonus saranno a disposizione di chiunque decida di collaborare per svolgere ulteriori missioni in quella specifica località. La filosofia del nodo è probabilmente la componente di gioco in cui si percepisce meglio l’ibridazione tra universo reale e di gioco, se ancora dovessimo considerarli come separati. In questo modo la mappa digitale riesce a rafforzare le potenzialità sociali del “cerchio magico”, trasferendone gli effetti positivi nella controparte fisica/reale, testimonianza emblematica di come il gioco sia aperto alle interazioni, generatrici di trasformazione sociale dello spazio e modellate nel rispetto dei valori tipici delle culture di affiliazione. Lo spirito critical dunque è essenzialmente costituito dalla volontà di attuare, in modo spontaneo e semplice, dei progetti ludici con scopi etici, senza scivolare in retoriche idealiste.
AS (Alida Scussolin). L’idea dell’agopuntura urbana è probabilmente il concetto che più di altri ha ispirato Critical city. Il risultato è una struttura di gioco precisa e credo anche molto democratica. Che potenzialità credete possa avere l’agopuntura urbana, applicata a un pervasive game? Dal punto di vista della consapevolezza di essere cittadini, si è dimostrata efficace?
AP (Augusto Pirovano). Presentando questo gioco abbiamo unito un po’ di cose che ci piacciono, abbiamo preso come riferimento l’idea dell’agopuntura urbana appunto, sviluppata da questo urbanista che si chiama Jaime Lerner. Peraltro, non l’agopuntura ma l’operato di Lerner a Curitiba è stato l’argomento della mia tesi di laurea, per cui è un po’ quello da cui abbiamo preso spunto. Quindi si, è sia quello sia il gioco urbano, sia proprio l’utilizzare la piattaforma e le tecnologie del web per uscire di casa con lo scopo di fare delle cose nel mondo reale, sono vari elementi che ci piacevano e che abbiamo deciso di provare ad unire e vedere cosa ne veniva fuori. Detto questo, si secondo noi il progetto ha grandi potenzialità, poi in itinere vedremo quello che uscirà, nel senso che per esempio dal primo anno di gioco vero e proprio ci sono stati un sacco di risultati che sono andati oltre le nostre aspettative. Prendiamo come esempio 10000 missioni svolte dai ragazzi in Italia e certe volte anche nel mondo, sono un numero impressionante se si pensa alla quota dei ragazzi che sono iscritti ed hanno giocato, intorno alla cifra di 5600 per i primi dodici mesi. Non è un numero enorme, non corrisponde ai dati di altri social network o di progetti grandi anche italiani, però se si pensa alle persone che sono uscite di casa per fare azioni creative, hanno lavorato sugli spazi pubblici, hanno incontrato sconosciuti, già questo ha avuto un impatto sulle città dove questi ragazzi hanno operato. Quindi siamo ottimisti e vedremo un po’ dove ci porterà.
AS. Rispetto all’idea fondativa che avevate in mente, avete avuto modo di riscontrare che una volta lasciati i giocatori liberi di agire, le potenzialità sociali e di cambiamento si realizzavano in maniera effettiva?
AP. Si, ai ragazzi questa cosa piace, sono appassionati e anzi sono loro che hanno sempre più voglia, rispetto alle proposte che ci sono nel catalogo delle missioni, di realizzare quelle che li portano ad uscire di casa e fare cose nella città.
AS. Alcuni giocatori tendono a criticare le missioni più semplici che si svolgono in casa e riguardano principalmente l’identità del giocatore. Dal punto di vista interpretativo, questo gruppo non deve essere piuttosto visto come una sorta di percorso che avete approntato per educare ai valori del vostro gioco ed accompagnare il giocatore a sentirsi parte di esso?
AP. Più che dei valori, i primi livelli di gioco sia nella scorsa stagione che in questa chiedono di fare cose molto semplici, molte volte divertenti e senza troppi risvolti di nessun tipo. Sono cose che soprattutto ai primi livelli puoi fare immediatamente senza il bisogno di progettare, raccogliere materiale, pensare a cosa fare nei giorni successivi. Si tratta di missioni pensate apposta per darti la possibilità di attivarti subito e fare delle cose, è un percorso, non è lo scopo del gioco, quello che realmente vogliamo fare è portarti fuori casa; anche se l’idea di fare cose creative e divertenti che ti piacciono e danno un appagamento immediato è parte del gioco stesso. Però è chiaro che i ragazzi non sono abituati ad un web, ad una tecnologia che gli chiede un impegno di questo tipo perché Facebook o i social network ti chiedono di cliccare e scrivere al massimo un commento.
AS. Il meccanismo risulta di conseguenza vincente per la sua dinamica di apprendimento e crescita naturali.
AP. Una scelta nostra è quella di essere molto leggeri in termini di filosofia, ideologia ed obiettivi. Non dichiariamo mai credo o raramente nelle comunicazioni che abbiamo su Facebook e nella newsletter, quali sono gli obiettivi di questo progetto, cioè iscriviti e cambierai la tua città o miglioriamo gli spazi pubblici o ancora trasformiamo il mondo; sono cose che noi non diciamo. Semplicemente la promessa è partecipare ad un gioco facendo le cose che non hai mai fatto, poi a seconda del tuo stile di azione e di quelli che sono i tuoi gusti ti troverai a fare cose che cambieranno la tua personalità, il modo di vivere la tua quotidianità e la città dove vivi. Il tutto viene sempre proposto in maniera molto leggera, l’idea di fondo è che sia tu stesso a renderti conto attraverso la tua azione personale di quello che è cambiato in te e nel mondo di fuori, piuttosto che sia io a dirti fai questa cosa.
AS. Ultimamente si parla molto di gamification, in questi termini sembrano essersi affermati due blocchi di posizioni fondamentali: chi desidera impiegare i meccanismi dei game nella realtà con lo scopo di migliorarla e chi desidera farlo per modificare i comportamenti a fini commerciali. Cosa ne pensate in merito?
AP. La domanda che noi ci siamo fatti con questo progetto è come renderlo sostenibile più che come renderlo profittevole. Questo è l’obiettivo del nostro progetto, vogliamo fare in modo che cresca, ci siano sempre più nuovi giocatori, facciano sempre più cose perché il gioco possa stare in piedi sostanzialmente e pagarsi i suoi costi, in termini di costi vivi e di persone che lo seguono.
Per quanto riguarda la questione gamification, ci sono sempre nuovi cicli su Internet, c’è sempre una nuova moda, quella del momento adesso è il tema della gamification. Quindi l’idea di dire applichiamo delle dinamiche di gioco a degli ambiti che non sono gioco e il pensiero che magicamente diventi tutto più divertente o succeda che persone e clienti cambino radicalmente comportamento e atteggiamento verso una marca. Non sono un critico o un esperto di teoria, però è evidente che non è così semplice, non basta mettere dei punteggi oppure dei badge, non è sufficiente farlo sembrare un gioco perché diventi una cosa divertente e sia effettivamente un gioco, perché le persone facciano quello che gli chiedi. Noi non siamo partiti proprio da questo presupposto, lo abbiamo progettato come se fosse un gioco dalla base e poi ha dimostrato di avere dei risvolti oltre al gioco stesso quindi dal nostro punto di vista funziona. Però è evidente che quando racconti il progetto in giro chi non conosce bene l’argomento, tende a pensare che il dare dei punti possa portare i ragazzi a fare qualunque tipo di missione come “pulisci il parco e ti mettiamo 200 punti”. Ovviamente non è così nel senso che non basta mettere i punteggi o inventarsi una missione perché i ragazzi facciano effettivamente questa cosa, ma è molto più complicato, le proposte che tu fai devono comunque essere divertenti, interessanti e quindi non è che le persone sono degli automi programmabili, è un po’ simile ad un’arte.
AS. Di recente avete deciso di dare ancora più rilievo alla community coinvolgendola in un dibattito che ha prodotto il coinvolgimento dei giocatori nella gestione concreta di alcuni aspetti di Critical City in veste di vostri collaboratori. Pensate che questo possa dare nuovi stimoli creativi? Non esiste il rischio che si possa snaturare il gioco?
AP. No io non vedo la possibilità che il gioco si possa snaturare semplicemente chiedendo l’aiuto della community, quindi tendendo la mano ed aprendo dei ruoli un po’ più strutturati ad alcuni giocatori con l’obiettivo essenziale di dare il proprio contributo. La peggiore delle ipotesi è che passato l’entusiasmo iniziale i giocatori abbiano voglia solamente di fare i giocatori e di non prendersi questo impegno, questo può succedere. Quindi stiamo cercando di far sì che sia semplice aiutarci senza un impegno eccessivo e sia molto chiaro quello di cui abbiamo bisogno. Vorremmo che chi ha voglia di dedicare del tempo per noi lo possa fare, per un periodo limitato e poi possa tornare a giocare, ma soprattutto stiamo cercando di fare in modo che dopo la chiamata delle scorse settimane le decine di richieste di giocatori disponibili non siano una cosa occasionale. Non vogliamo che le collaborazioni passino in secondo piano ma che diventino più stabili all’interno del gioco, con una community che sappia di avere di fronte un progetto gratuito, no profit, in cui esiste la possibilità di contribuire ad aiutarlo, senza obbligo e in una serie di modi diversi appunto, prestando del tempo, facendo una piccola donazione, invitanto gli amici oppure comprando le magliette.
AS. L’universo Critical è molto coerente e con questa iniziativa nei confronti dei players avete scelto di affermare ulteriormente la vostra filosofia. È corretto?
AP. Si è la stessa filosofia dei software di tipo shareware, che non sono i software commerciali ma di sviluppatori indipendenti. Da decenni quello che fanno è dare il loro prodotto gratis e dopo un certo periodo di utilizzo, ricordare che sarebbe opportuno dessi il tuo contributo per sostenere il progetto e questo è un po’ quello che stiamo cercando di fare e vedere un po’ se va.
AS. Il vostro è un approccio bottom-up che mi sembra molto innovativo in un paese come l’Italia considerando che in questo momento storico numerosi cittadini sentono di avere poco potere decisionale.
AP. L’idea di fondo del progetto era un po’ quella di dare al giocatore la possibilità di agire subito anche in maniera divertente, per fare delle cose interessanti e utili per la propria città senza aspettare autorizzazioni, senza dover chiedere dall’alto che venissero fatte certe cose ma potessero essere svolte in maniera molto leggera e semplice dai ragazzi stessi. Noi stiamo molto attenti alle proposte che facciamo e un po’ attraverso il gioco, l’essere simpatici, divertenti non abbiamo avuto mai problemi siamo riusciti un po’ a giocarcela su questo filo su cui stai facendo sempre cose sostanzialmente positive per la tua città e le stai facendo dal basso ma in maniera spontanea.
AS. Credete che la formula di Critical city sia in grado di agire, passando anche attraverso i media tradizionali, sulle istituzioni motivandole e rendendole più consapevoli? Oppure preferite rimanere nell’ambito di associazioni e aggregazioni sociali non istituzionalizzate?
AP. Noi in realtà stiamo già facendo questo, nel senso che una cosa non esclude l’altra. Attraverso il gioco ci sono ragazzi che fanno cose in tutta Italia, senza dover chiedere un accordo ad ogni singolo comune in cui vive un ragazzo che vuole partecipare, il gioco è aperto, gratuito tutti si possono iscrivere, giocare. Quello che stiamo facendo è proporre collaborazioni un filino più strutturate con delle realtà territoriali che invece possano essere interessate, perché sensibili a questo tipo di approccio. Quello che gli si propone è sostanzialmente la possibilità che i ragazzi possano utilizzare un servizio già esistente, senza che l’amministrazione debba versare una lira per crearlo; però il punto è che noi non abbiamo risorse infinite di comunicazione, quindi puoi avere il progetto più bello del mondo ma se i ragazzi non sanno che esiste non potranno mai giocarci. Per questo se alla realtà del territorio in questione interessa, si sviluppa un percorso insieme che dura a seconda dei casi tre, sei, dodici mesi; si fa un progetto e in una prima fase andiamo sia sul territorio specifico a promuovere il gioco nelle scuole o nei centri di aggregazione giovanile, sia online su social network, blog, canali di comunicazione online di quel territorio specifico. Facciamo in modo che i ragazzi sappiano che c’è questa cosa e abbiano la possibilità di iscriversi e partecipare, li seguiamo a distanza sostanzialmente attraverso i nostri community manager, animiamo la comunità locale on line e creiamo delle occasioni di incontro come delle missioni speciali. L’amministrazione sottoscrive un impegno e ad esempio l’assessorato al verde può darci un contributo, in questo caso ovviamente non ci sarà un interesse per tutte le missioni possibili. A partire da una serie di obiettivi creiamo un set di missioni divertenti che poi possono essere svolte e le promuoviamo su quei ragazzi specifici, in quel territorio, organizzando appunto delle missioni collettive oppure lavorando anche su dei luoghi specifici della città. Se c’è un comune o una regione che ad esempio ha aperto nuovi centri di aggregazione giovanile, che però i ragazzi ancora non conoscono e non frequentano, insieme possiamo fare delle azioni mirate, aprire dei nodi di gioco specifici in posti dove i ragazzi possono scoprire queste opportunità, andandoci e poi se hanno voglia continuando a giocare.
AS. Emerge nuovamente la caratteristica del coinvolgimento leggero grazie al quale la struttura potenzialmente funziona benissimo.
AP. Esatto e poi al termine del progetto andiamo a fare una lettura di tutto quello che è successo. In questo modo possiamo consegnare nelle mani di chi ci ha sostenuto un report, in grado di restituire il numero dei ragazzi che si sono iscritti, in che luoghi della città, in quali quartieri, quali sono state le missioni che hanno fatto, in che modo, quali sono i loro desideri, su quali nodi territoriali sono intervenuti. Insomma una lettura qualitativa e quantitativa, un documento che può essere utile perché è uno strumento di ascolto, di mappatura dei desideri dei ragazzi sul territorio. Consegniamo anche una presentazione ad hoc per quel territorio che l’amministrazione può usare per raccontare quello che è stato fatto.
AS. Parlando di mappe, come le concepite? Le considerate strumenti di socializzazione o semplici ausili alla narrazione di ogni missione di gioco?
AP. L’idea è che indicando dove ha fatto la missione, il giocatore poi possa creare dei nodi sulla mappa. Quando indichi che hai svolto tre missioni nell’arco di cento metri in luoghi pubblici puoi far partire la richiesta di creazione di un nuovo nodo, che dev’essere poi verificata ed approvata, ma è una prima motivazione per cui chiediamo ai giocatori di indicare dove hanno agito. Poi a quel punto si può vedere sul territorio dove ci sono i nodi e quindi dove si può andare a svolgere delle missioni per ottenere dei punti bonus. Il risultato finale è una mappa di tutti i nodi d’Italia e anche all’estero, dove sono state fatte tutte le missioni, una mappa della posizione di tutti i giocatori.
AS. La mappa lavorerebbe quindi come strumento strategico di gioco?
AP. La mappa è un elemento che consente sempre al giocatore di dichiarare dove si trova e vedere se ci sono altri giocatori con cui può fare delle cose. È strumento operativo per giocatori e anche strumento di lettura macro per vedere dove sono concentrate le azioni.
AS. Quali altre funzioni hanno le mappe, possono essere dispositivi di narrazione?
MU (Matteo Uguzzoni). Forse all’inizio il primo ragionamento non è stato quello della narrativa del territorio, ma la mappa ci sembrava uno dei modi più intelligenti per navigare nei contenuti. Una delle ipotesi era proprio legata all’affrontare la mappa per vedere dove stanno capitando le cose.
Poi in verità, la mappa non si presta per niente bene a navigare tra i contenuti e quindi abbiamo cambiato un po’ il sito con la conseguenza che la mappa è andata in secondo piano. Sicuramente quando il giocatore sa cosa significa quel triangolino sulla mappa, ovvero una missione, qualcosa che è successo, è interessante vedere dove sono concentrate più cose, quindi anche se si decide di non leggere esattamente cosa è successo in quel luogo si ha comunque un buon senso di ciò che sta accadendo e dove. Sulla questione della narrativa, secondo me si, Critical City agisce tanto in questo senso, crea una nuova narrativa ed è come se fosse un telegiornale positivo di creatività, nel senso che invece di raccontare delle cose brutte racconta di cose belle che avvengono in città. Quindi se una persona decide di focalizzarsi su questo mondo può pensare che la realtà non è poi tanto male. Secondo me Critical city sta lavorando tanto sulla narrativa degli spazi in generale, più che su quella di certi spazi specifici.
AS. La meccanica dei nodi è una strategia vincente a livello di aggregazione sociale?
AP. Si e no nel senso che non tutti i ragazzi vanno a fare le missioni sul nodo, ma alcuni si quindi funziona abbastanza. Quello che è più efficace e si muove in maniera informale, sono le reti locali di giocatori, ad esempio la community di Rovereto adesso è quella più forte di tutta Italia grazie al passaparola.
AS. Per quanto riguarda la componente tecnologica, pensate che un’eventuale applicazione mobile con funzioni di localizzazione istantanea da impiegare ad esempio durante le missioni, si potrebbe adattare al vostro gioco?
AP. Si l’idea di fare un’applicazione è in programma, all’inizio sarebbe una risorsa che permetterebbe ai giocatori semplicemente di vedere le ultime cose che sono state fatte in quella giornata, vedere le missioni, anche perchè sarebbe fantastico il fatto di poter contattare durante una missione un altro giocatore. Però siccome stiamo parlando comunque di 6000 giocatori in assoluto è un po’ difficile pensare che ce ne sia un numero sufficiente per poter realizzare un’applicazione con un effetto costruttivo. Un’eventuale applicazione mobile per fare le missioni al volo, non si adatterebbe bene, perché quello che vediamo è che, escludendo chi ha appena iniziato a giocare, i giocatori più seri quando fanno una missione la preparano bene, sistemano le foto, magari le ritoccano, oppure preparano i testi, le didascalie; quindi dal cellulare non si pubblicherebbe comunque una missione così. In ogni caso non è una cosa fondamentale da realizzare subito, magari nei prossimi mesi la metteremo in pista.
– Tutte le immagini appartengono ai rispettivi proprietari e sono usate ai soli fini accademici. –
- Per informazioni relative alla cooperativa cfr. http://www.focuscoop.it/. ▲
- Cfr. http://criticalcity.org/pages/dicono. ▲
- È possibile consultare una quarta alternativa che combina tra loro la mappa delle esecuzioni e quella dei nodi. Per il momento la mappa principale è quella italiana, tuttavia il gioco è potenzialmente globale. ▲
- Eugeni, R. (2010). Il gioco delle tracce. Inscrizione e trascrizione dell’esperienza nei media contemporanei.Comunicazioni sociali, XXXII(1), pp. 106-13. ▲
- Cfr. Gordon, E., De Souza e Silva, A. (2011). Net Locality. Why Location Matters in a Networked World. Boston, MA: Blackwel-Wiley. ▲
- Urbanista, creatore del concetto di “agopuntura urbana” secondo cui si può migliorare la vita di paesi e città attraverso piccole iniziative creative in un ottica di sostenibilità complessiva. ▲
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