Come recita il sito ufficiale dell’editore Bloomsbury, Video Games. An Introduction to the Industry è collocato all’interno della collana Creative Careers, una raccolta di strumenti finalizzati a collegare il periodo della teoria e della formazione alle prime esperienze lavorative nel variegato settore delle visual arts.
Questo compatto manuale introduttivo è diviso in sei capitoli ben distinti. Tre di questi trattano argomenti già abbondantemente approfonditi e discussi in numerosi testi recenti: la storia del videogioco e il suo rapporto con l’universo mediale e la società contemporanei. Nonostante questo, Bossom e Dunning li affrontano con grande attenzione al presente e con lo sguardo ben rivolto al futuro. Non è un caso che all’avvio del capitolo sulla storia del videogioco, gli autori provino a collegare meccaniche di gioco proprie di epoche passate (dal sumero Gioco Reale di Ur, risalente a non meno di un paio di millenni prima di Cristo, fino ai giochi da tavolo del secolo scorso) a meccaniche diffuse nei giochi digitali contemporanei, ipotizzando un’interessante continuità fra archetipi ludici nella Storia.
La rapidità della trattazione non lascia però il tempo agli autori di approfondire e, passando fra le altre cose attraverso una genealogia delle console, il concetto di esperienza narrativa e gli Esports, essi dedicano qualche riga a un altro feonomeno interessante: l’utilizzo delle tecnologie del videogioco come strumento di simulazione scientifica, dalla rappresentazione delle strutture molecolari alla visualizzazione degli effetti della teoria della relatività in un ambiente fantasy visualizzato in prima persona.
Altrettanto ben indirizzati in questi capitoli sono sia i discorsi sull’urban gaming e l’augmented reality, che allargano il fuoco della questione ludica oltre lo schermo dei dispositivi digitali verso contesti fisici reali e calpestabili; sia gli approfondimenti sui supposti effetti deleteri del medium, da indagare non tanto per le modalità con cui mette in scena la violenza ma piuttosto per la rappresentazione ripetuta e normalizzante di strutture sociali e politiche idealizzate e date per scontate.
I rimanenti tre capitoli del testo sembrano rispondere maggiormente agli obiettivi della collana, distinguendosi da altri testi introduttivi di taglio più teorico e analitico: qui sono trattate le figure professionali coinvolte nella produzione videoludica, l’evoluzione tecnologica e il comparto economico aziendale del settore. Fondamentale il fatto che questi capitoli, come anche i precedenti in realtà, siano corredati da corpose interviste a professionisti, tra cui spiccano i nomi di Chris Brunning, technical manager di Crytek, Rob Small, CEO di Miniclip, Henrik Fahraeus, lead game designer di Paradox Interactive e Mike Bithell, game designer indipendente, in grado di dare opinioni e di delineare interessanti scenari dall’interno.
Da segnalare per esempio è l’approccio del capitolo sulla tecnologia in cui non si passano solo in rassegna i diversi hardware ma si accenna allo studio delle interfacce, ai motori grafici e alle loro possibilità e limitazioni, fino ad arrivare a qualche spunto di programmazione ( l’OOP, Object Oriented Programming). Nel capitolo sugli aspetti economici e aziendali invece, molto puntuale è il breve approfondimento sui rischi di assuefazione e dipendenza legati ai sistemi di monetizzazione dei mobile game e dei social game e alle loro modalità promozionali verso i più giovani.
Più nel dettaglio, questo tipo di approccio ha anche lo scopo di comunicare al lettore una prima superficiale idea delle metodologie di lavoro della game industry odierna, con un focus specifico su Scrum e Sprint. Il primo metodo consiste in una serie di confronti programmati a cadenza regolare con l’intero team produttivo al fine di individuare obiettivi comuni e affrontare problematiche condivise, migliorando al contempo la comunicazione fra tutti i diversi professionisti coinvolti; il secondo metodo prevede invece di organizzare periodi di lavoro di media durata, misurati in settimane, in cui il team o una parte di esso lavora a un obiettivo preciso e tenta di portarlo a termine senza ingerenze esterne, nemmeno da parte dei produttori o dei committenti. È interessante notare però come queste metodologie, presentate come standard nel testo, rischino di sollevare perplessità e scetticismo in chi è abituato a lavorare in modo diverso: in Italia per esempio, dove il settore, salvo rare eccezioni, è ancora più simile all’artiganato che all’industria. Oltre a questo, a emergere con forza dalle interviste è anche uno strano amore per gli straordinari e il crunch time (il periodo che precede la consegna del prodotto finito, in cui spesso si è costretti a lavorare “più di dodici ore al giorno, sei o sette giorni alla settimana”), che sembra essere da un lato una sorta di requisito minimo di disponibilità per lavorare nella game industry, ma che dall’altro rivela una profonda stortura nelle routine produttive anche delle aziende più strutturate e di successo in campo internazionale.
Tenuto conto di questa sommaria divisione in due macrosezioni, una più canonica e tradizionale, una più orinetata alla formazione e all’approfondimento delle professioni del settore, Video Games. An Introduction to the Industry non è certamente un testo per addetti ai lavori ma piuttosto un buon tentativo di unire considerazioni storiografiche e teorico analitiche sul videogioco con approfondimenti a tutto tondo sul comparto produttivo. Bossom e Dunning riescono nell’intento a metà, dando qualche insight interessante e corredando il testo di task e discussion points per stimolare il lettore ad andare oltre, ma non riescono, per esigenze di formato, ad approfondire troppo la mole di argomenti trattati.
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Mauro Salvador – mau.salvador@gmail.com
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