Special issue, curated by Marco Benoit Carbone (University College London) and Paolo Ruffino (Goldsmiths, University of London)
Ormai difficili da identificare con un unico tipo di pubblico, i videogiochi rappresentano oggi una grande varietà di testi e pratiche, dotati di caratteristiche tecnologiche, estetiche e culturali eterogenee. Il videogioco è un medium stratificato, multiforme e complesso, che coinvolge pubblici molto diversi: da quello maschile a quello femminile, da quello di giocatori casual a quello degli appassionati hardcore, dai bambini agli adulti. I modelli di produzione e consumo dei videogiochi variano inoltre a seconda che essi abbiano luogo in aree geografiche diverse, come l’Asia, l’Europa, gli Stati Uniti o l’Australia, mettendo in evidenza modelli di ricezione e interpretazione molto diversi a seconda dei loro pubblici e delle relazioni che intrattengono con altri media.
Eppure, per quanto risulti difficile o limitante offrire una definizione univoca dei gamer, viene ancora a mancare un articolato dibattito intorno alla possibilità che i videogiochi possano essere davvero l’espressione di specificità culturali, , le quali dovrebbero essere la funzione di istanze produttive, sociologiche e autoriali relative ai loro contesti e ai luoghi di origine. Molti videogiochi sono in effetti dei prodotti transnazionali, simili tra loro in molte caratteristiche fondamentali, e apparentemente privi di una marcata riconoscibilità in termini di identità socio-geografiche o culturali. Questo porta a domandarsi se i videogiochi possano essere effettivamente dei portatori di contenuti “locali”, volti o meno a destinatari “globali”.
Da questo punto di vista il medium videoludico è in larga misura il prodotto un’industria globale che propone standard altamente omogenei. Questo aspetto sembrerebbe inerire anche alle caratteristiche estetiche e alle forme narrative dei prodotti. Se, infatti, il processo storico del videogioco lo ha portato a diventare un medium “pervasivo”, le cui icone e i cui ricorsi estetici punteggiano la cultura di massa al pari delle arti visive, è vero anche che il numero sempre crescente dei suoi sostenitori va di pari passo con la costruzione di modelli estetici largamente riconoscibili e con diffusi stereotipi visivi e mediatici del gioco e del giocatore (siano essi adulatori o denigratori).
Questi aspetti presentano delle implicazioni sul piano ideologico e politico. In concomitanza con l’ascesa della video game culture, si attesta anche quella del videogioco cosiddetto indipendente. A descriverlo sono una serie di emergenti formazioni discorsive, che hanno come soggetti diverse frange di creatori e consumatori di videogiochi; secondo queste narrative, gli independent games dimostrano che il medium videoludico può rappresentare una forma di espressione individuale o di precise istanze culturali. Secondo alcuni, il videogioco darebbe vita persino a forme di aggregazione e cooperazione volte a risolvere cause di rilevanza sociale.
Queste letture coincidono in parte con una visione ottimistica ed entusiastica delle possibilità di resistenza ideologica e sociale che si presume i videogiochi possano offrire rispetto ai modelli culturali, politici ed economici dominanti. Tuttavia, non è ancora stato indicato quali forme di connivenza, sovversione o deviazione possano o debbano effettivamente emergere dall’utilizzo del medium; né è stato considerato in maniera approfondita in che misura il potenziale “sovversivo” del videogioco “indipendente” possa finire con il ricadere nelle stesse meccaniche di produzione del sistema da cui esso tenterebbe di allontanarsi.
Questo numero di GAME si propone di dibattere questi temi concentrandosi sui pubblici, sulle diverse pratiche e sulle possibili ideologie operanti nel medium, all’interno dei più ampi contesti sociali ed economici in cui i videogiochi vengono realizzati e utilizzati. GAME incoraggia ricercatori e studiosi a esaminare queste forme di espressione attraverso uno sguardo volto a mapparne le specificità socioculturali, o ad analizzare le relazioni tra l’industria di massa (o “mainstream”) e quella di nicchia (o “subculturale”), problematizzando al contempo lo stesso assunto che porterebbe a definire i gamer nei termini di una o più subculture.
Considerata la complessità dell’argomento e la pluralità di ambiti a cui esso può rimandare, l’invito di GAME si rivolge non solo agli studiosi ma anche ad artisti, game designer, hacker, giornalisti e giocatori, aprendo alla possibilità di valutare testimonianze, articoli e contributi creativi accanto ai saggi.
**Ulteriori ipotesi di ricerca possono includere, ma non si esauriscono con, le seguenti domande:
– È possibile, o lo è mai stato, concepire i gamer alla stregua di una subculture? E in che senso?
– È possibile applicare al contesto videoludico la dibattuta contrapposizione tra mainstream e subculture e le ricadute teoriche che essa implica nelle scienze sociali?
– È possibile dimostrare che la pratica del gaming, dapprima marginale, sia divenuta di massa in uno specifico momento o contesto?
– In che modo si sviluppa e articola questa idea non tanto nell’ambito della ricerca, quanto in quello giornalistico e della critica popolare (si consideri l’opposizione tra hardcore e casual gamer)?
– Esistono corrispondenze tra determinati temi, tipi o generi videoludici e le rispettive frange di videogiocatori che ne sarebbero il pubblico modello?
– Come viene implementata o supportata, al livello della produzione e del marketing, la corrispondenza tra i testi e le diverse fasce di consumatori?
– È possibile riscontrare nei videogiochi degli aspetti controversi di cui i giochi stessi possono essere portatori, o che essi possono tematizzare ed esporre (per esempio: razzismo, colonialismo, sessismo, occidentalismi, o altri temi e discorsi che risultino in altri modi “normativi” o ideologici)?
– È possibile pervenire a un riconoscimento di dignità estetica del videogioco senza scadere in discorsi “apocalittici” o “redentori” (“i videogiochi sono il male” / “i videogiochi sono il bene”)?
– Che tipo di sovrapposizioni si creano tra il consumo di videogiochi e quello di altri media dal punto di vista dei diversi pubblici che li utilizzano?
– È più facile o appropriato definire i videogiochi facendo ricorso alla loro “logica interna” o ai loro aspetti figurativi ed estetici?
Keywords
game art; indie games; online communities; arcades; age; sex; race; gender: minorities; hacking; modding; homebrew; abandonware; consumer culture; culture jamming; mainstream; subculture; underground; trans-nationality; resistance
Abstract deadline: 26th April
Notification of acceptance: 10th May
All accepted abstracts will be expected to submit a full paper by the 19th of July
We expect to release this special issue in Autumn 2013
Proposals and questions to
subcultures@gamejournal.it
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